l’Italia perde il capitale naturale


di Alessandra Coffa

L’Italia rischia di perdere uno dei suoi patrimoni più preziosi: la biodiversità. Un recente rapporto di Legambiente lancia l’allarme su un ecosistema nazionale sempre più fragile, tra strategie disattese, specie in pericolo e gravi ritardi nell’attuazione delle politiche ambientali. Ma la crisi ecologica non è solo una questione ambientale: in gioco ci sono anche l’economia, l’occupazione e il futuro del Paese.

La biodiversità italiana in numeri nel report di Legambiente

Il segnale d’allarme è inequivocabile: quasi il 20% del territorio italiano si trova oggi in una condizione di rischio ecologico. È questa la conclusione dell’ultimo rapporto pubblicato da Legambiente nel marzo 2025, che fotografa una situazione critica per la biodiversità nazionale, con 58 ecosistemi minacciati, di cui sette in pericolo critico di estinzione, 22 in pericolo e 29 classificati come vulnerabili. Per proporzioni, parliamo di quasi la metà dell’intera superficie occupata da ecosistemi naturali e seminaturali in Italia. “Il Paese, che in Europa vanta la più grande varietà di animali e piante e specie endemiche, è in affanno e in difficoltà”, racconta Stefano Raimondi, responsabile biodiversità di Legambiente.

Il dato preoccupa non solo gli ambientalisti: il rapporto evidenzia come più del 50% del Pil mondiale dipenda direttamente dalla natura. Le foreste garantiscono risorse e stabilità climatica, le attività di pesca che in diverse economie rappresentano oltre il 10% del prodotto interno lordo. Con un terzo degli stock ittici marini ormai sovrasfruttato, la perdita di biodiversità non è più confinabile alla sfera ecologica, ma investe direttamente catene produttive, occupazione e competitività economica.

Strategie ferme sulla carta

Nonostante l’urgenza della situazione, la risposta italiana appare frammentaria. La Strategia europea per la biodiversità al 2030, lanciata dalla Commissione Europea nel 2020, aveva fissato obiettivi ambiziosi: proteggere almeno il 30% del territorio terrestre e marino, garantire il ripristino dei fiumi, dimezzare l’uso di pesticidi, piantare tre miliardi di alberi e arrestare il declino degli impollinatori.

L’Italia ha formalmente recepito tali indicazioni con l’adozione della propria Strategia nazionale per la biodiversità nell’agosto 2023. Tuttavia, a distanza di quasi due anni, il piano è rimasto sostanzialmente sulla carta: nessuna delle 70 nuove aree protette previste è stata istituita e l’attuazione operativa delle misure risulta bloccata.

La realtà delle protezioni ambientali secondo Legambiente

Il report di Legambiente spiega che le aree protette nel nostro Paese coprono circa il 22% del territorio terrestre e il 15,5% del territorio marino (in questo calcolo vengono fatti rientrare tutti i siti della Rete Natura 2000). Tuttavia, in molti casi non si tratta di protezioni realmente efficaci: numerosi territori mancano di strumenti giuridicamente vincolanti o di piani di gestione attivi. Particolarmente critico il divario rispetto all’obiettivo europeo di garantire protezione integrale al 10% delle aree, senza che sia stata presentata alcuna roadmap concreta per colmarlo.

“I dati reali sono in realtà ben più distanti da quelli ufficialmente dichiarati”, precisa Raimondi. “In Italia il sistema di aree protette conta oggi 871 tra parchi e riserve con oltre cinque milioni di ettari di territorio protetto a terra e a mare, che copre una percentuale dell’11% del territorio nazionale. Per raggiungere l’obiettivo del 30% richiesto dall’Ue è necessario triplicare la percentuale di aree terrestri protette e sestuplicare il territorio marino attualmente protetto (appena il 5%). Legambiente ha stilato una lista di 77 nuove aree da istituire, delle quali 30 sono aree protette nazionali previste da leggi approvate dal parlamento”.

Le criticità non sono solo di natura ambientale, ma anche finanziaria. Il registro volontario dei crediti di carbonio per i settori agricolo e forestale, concepito come leva strategica per attrarre investimenti nella transizione ecologica, non è ancora operativo in Italia. Un ritardo che genera una doppia perdita: da un lato sfuma l’opportunità per imprese e territori di monetizzare i servizi ecosistemici, dall’altro si crea un pericoloso vuoto regolatorio che, come segnalato dalla Procura nazionale antimafia, rischia di attirare l’interesse delle ecomafie.

Fauna italiana in pericolo

Emblematico delle difficoltà gestionali italiane è il caso del lupo. Con una popolazione stimata di circa 3.500 esemplari, l’Italia ospita il contingente più numeroso d’Europa. Ma nel solo 2024, 104 lupi sono morti, principalmente a causa di incidenti stradali e bracconaggio. A mancare è una banca dati nazionale, mentre sul piano normativo non sono state adottate modifiche né strumenti di gestione avanzata, nonostante a livello europeo sia in corso un dibattito sulla possibile revisione del regime di protezione.

Aggiornato anche il quadro sullo stato delle specie presenti in Italia: tra gli uccelli, il 27,6% delle 265 specie censite si trova in uno stato compreso tra ‘critico’, ‘in pericolo’ o ‘vulnerabile’. Per quanto riguarda i mammiferi, circa il 26% risulta minacciato, con situazioni particolarmente critiche per specie endemiche come il capriolo italico e il camoscio appenninico. Il quadro è preoccupante anche per anfibi, rettili, squali e razze: tre specie di anfibi sono già classificate in pericolo critico (Cr), mentre il 15% delle specie italiane di rettili, squali e razze si trova nella medesima condizione di elevata criticità.

Il divario negli investimenti secondo Stefano Raimondi, responsabile biodiversità di Legambiente

Sul fronte economico, il divario tra necessità e investimenti rimane strutturale. Secondo le stime più aggiornate, a fronte di un fabbisogno annuo di 824 miliardi di dollari per la tutela della biodiversità, gli impegni finanziari globali attuali si fermano a 143 miliardi. Gli strumenti esistono – dai Wildlife Conservation Bonds ai Payment for Ecosystem Services (Pes) – ma l’adozione resta limitata e frammentata.

“Natura e biodiversità rappresentano un capitale naturale prezioso quanto l’oro, eppure sono sempre più a rischio” , sottolinea Raimondi, responsabile biodiversità di Legambiente. “Primo campanello d’allarme arriva dalle specie e dagli ecosistemi in pericolo di estinzione nel mondo e in Italia, ma anche dal valore economico che muovono alcune specie e settori – come l’agricoltura guidata dagli impollinatori, foreste, pesca – e che si rischia di perdere”. Secondo i calcoli, gli insetti impollinatori garantiscono la produzione di colture per un valore di 235-577 miliardi di dollari annui, le foreste e gli ecosistemi marini contribuiscono a un mercato di crediti di carbonio stimato in 100 miliardi, mentre le risorse ittiche generano un valore economico che supera i 150 miliardi. “Si stima che il 7% del turismo mondiale sia legato alla fauna e cresca del 3% ogni anno”, spiega il responsabile.

Strategie per la valorizzazione della biodiversità

Anche la Cop16, tenutasi a Cali nel novembre 2024, si è conclusa senza risultati concreti per l’attuazione del Kunming-Montreal Global Biodiversity Framework, confermando la difficoltà di tradurre gli impegni internazionali in azioni concrete. Per preservare il valore economico della biodiversità, Raimondi evidenzia l’importanza di “incentivi economici per la conservazione delle risorse naturali, come la creazione di sistemi di pagamento per i servizi ecosistemici (Per) che incentivano le comunità locali a preservare la biodiversità”. Il responsabile di Legambiente esprime anche “la necessità di integrazione della biodiversità e dei servizi ecosistemici nelle politiche e nelle strategie di sviluppo economico nonché nelle politiche aziendali, un passo fondamentale per allineare gli interessi economici con la tutela ambientale”.  Tra gli strumenti finanziari che l’Italia dovrebbe implementare, vengono citati il programma Life e Horizon 2020, il Fesr, il Feasr, e il Feampa – Fondo per la politica marittima, della pesca e dell’acquacoltura dell’Unione europea.

Investire negli ecosistemi per crescere

La fotografia che emerge dai dati non è quella di un Paese privo di risorse naturali, ma di un sistema ancora carente degli strumenti, delle governance e della visione strategica necessari per valorizzarle adeguatamente. Con un quinto del territorio italiano in stato di rischio ecologico, la posta in gioco non è solo il capitale naturale, ma una componente fondamentale del futuro economico nazionale. Il ritardo nell’implementazione di strategie efficaci per la tutela della biodiversità rischia di tradursi non solo in perdite ambientali irreversibili, ma, in un’economia globale sempre più orientata verso modelli sostenibili, anche in un progressivo indebolimento della competitività del sistema Italia.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Per altri contenuti iscriviti alla newsletter di Forbes.it CLICCANDO QUI .

Forbes.it è anche su WhatsApp: puoi iscriverti al canale CLICCANDO QUI .

Questo articolo è stato notarizzato in blockchain da Notarify.



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link