Evoca la chiusura e lo smantellamento dell’Ilva di Bagnoli il ministro delle Imprese Adolfo Urso. È la prima volta che fa un accostamento così netto tra la fine del siderurgico di Napoli (nel 1990) e l’ex Ilva di Taranto. Urso ne parla nel capoluogo ionico mentre inaugura il Tecnopolo mediterraneo per lo sviluppo sostenibile con la ministra dell’Università Anna Maria Bernini. Il problema è il sequestro, senza facoltà d’uso, disposto dalla Procura ionica dell’altoforno 1 dopo l’incendio di una tubiera del 7 maggio.
Di fatto il sequestro non ha solo conseguenze produttive, ma incide sulle trattative per la vendita dell’ex Ilva agli azeri di Baku Steel: in sostanza finché sarà in vigore il sequestro probatorio, l’altoforno 1 non potrà essere venduto. Se il sequestro dell’altoforno prevederà anche l’inibizione all’uso dovremo «aspettarci un forte numero di lavoratori in cassa integrazione e una riduzione significativa della produzione». Ma se il provvedimento inibirà anche la manutenzione degli impianti che deve essere effettuata nelle prossime ore, compromettendo per sempre il ripristino dell’altoforno, sarà il tracollo perché non sarebbe comunque più possibile riattivarlo. «È chiaro che se qui si crea un’altra Bagnoli», ha detto Urso perché non sarebbe comunque più possibile riattivarlo». Questo significherebbe «probabilmente la fine del sogno della siderurgia green a Taranto perché nessun investitore investe in una industria che ha già chiuso la sua attività produttiva».
Dopo il disastro della gestione Arcelor Mittal e la gara indetta dal ministero, è infatti ancora in corso
un «difficile» negoziato con Baku Steel e «se non vi è la funzionalità degli impianti il negoziato si interrompe». Nell’ex Ilva ad oggi è in marcia solo l’altoforno 4, in attesa che venga rimesso in funzione il numero 2.
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