come è cambiato nel tempo


Sotto la lente di ingrandimento il rapporto tra dichiarazione integrativa e rimborso IVA: dalle posizioni della Corte di Cassazione all’evoluzione della normativa di riferimento

La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 33373 del 2024, si è espressa in tema, tra le altre, di rapporto tra dichiarazione integrativa e rimborso IVA, in particolare sotto il profilo dell’alternatività o meno tra i due istituti.

Nel caso di specie, la Commissione Tributaria Regionale aveva accolto l’appello proposto da una Srl avverso la sentenza di primo grado, che ne aveva rigettato il ricorso avente ad oggetto una cartella di pagamento emessa a seguito di controllo automatizzato, effettuato ai sensi dell’art. 54 bis del Dpr n. 633/72 e relativo alla dichiarazione anno 2014.

Dichiarazione integrativa e rimborso IVA: l’analisi di un caso pratico

A seguito di tale controllo era stato infatti iscritto a ruolo un minor credito IVA, pari ad Euro 500.000,00, essendo risultato che detto credito fiscale era stato già richiesto in precedenza a rimborso ex art. 38 bis del Dpr n. 633/72, con riguardo all’anno di imposta 2013; rimborso che però non era stato poi materialmente erogato in quanto la società contribuente non aveva prestato la garanzia fideiussoria.

I giudici di secondo grado avevano affermato che “la fattispecie di causa si riduce alla constatazione che la società appellante ha esposto un credito IVA per Euro 500.000,00 che, però, pacificamente, non ha utilizzato in compensazione né altrimenti. Il reddito derivava dall’acquisto di terreni ritenuti edificabili per i quali le Autorità preposte non avevano rilasciato le relative concessioni. Ne è conseguito che l’appellante ha maturato un credito di imposta (IVA) nella misura indicata, senza mai portarlo in detrazione. È anzi pacifico e provato che la Società appellante ha formalmente rinunciato alla richiesta di rimborso precedentemente avanzata”.

Sulla base di tali argomentazioni la CTR accoglieva dunque l’appello del contribuente.

L’Agenzia delle Entrate proponeva infine ricorso per cassazione, deducendo la violazione dell’art. 8 del Dpr n. 322/1998 e degli artt. 38 bis e 57 del Dpr n. 633/72.

La CTR, secondo l’Amministrazione finanziaria, non aveva infatti considerato che la manifestata rinuncia all’erogazione del credito IVA previamente richiesto a rimborso (rinuncia effettuata dalla Società contribuente con comunicazione PEC) non avrebbe comunque potuto dirsi giuridicamente valida né efficace, essendo pertanto la procedura di rimborso ancora attiva, e quindi, di per sé, essendo impedita l’esposizione del medesimo credito in detrazione/compensazione nelle dichiarazioni fiscali successive (ivi inclusa quella per l’anno 2014, oggetto della verifica formale da cui era scaturita la cartella di pagamento in contestazione).

La modificazione della richiesta di rimborso del credito IVA, secondo l’Ufficio, avrebbe infatti dovuto essere effettuata dalla Società contribuente mediante apposita dichiarazione integrativa, ai sensi e nei termini di cui all’articolo 8 del Dpr n. 322/98; adempimento a cui però la società contribuente non aveva mai provveduto, men che meno nel termine necessario ed indefettibile del 31 dicembre 2018.

Secondo la Suprema Corte la censura era infondata.

Dichiarazione integrativa e rimborso IVA: l’analisi di un caso pratico

Evidenziano i giudici di legittimità che, quanto al rapporto tra detrazione e rimborso del credito IVA, la giurisprudenza è pacifica nell’affermare che fra il diritto a detrazione e quello al rimborso del contribuente di un credito IVA esiste un meccanismo di alternatività, che impedisce di sperimentare entrambi i rimedi da parte del contribuente rispetto all’eccedenza d’imposta.

Si afferma, infatti, che “In tema di IVA, la facoltà del contribuente di portare in detrazione il credito d’imposta può essere esercitata soltanto nell’anno successivo alla maturazione di detto credito, mediante annotazione nel registro di cui all’art. 25, del D.P.R. n. 633 del 1972, derivando tale preclusione dagli artt. 32, comma 2, e 55, comma 1, del D.P.R. n. 633 del 1972. Ne consegue che, una volta maturata tale preclusione, il contribuente può soltanto domandare il rimborso della maggior imposta pagata, nei limiti e con le forme prescritte per la relativa istanza” (cfr., Cass., 23 luglio 2007, n. 16257).

In conclusione, rileva la Cassazione, in tema di IVA, il contribuente, ai sensi dell’art. 17 del Dlgs 9 luglio 1997, n. 241, può modificare l’originaria richiesta di rimborso, optando per la compensazione, solamente entro l’anno successivo alla maturazione del credito medesimo, in quanto il principio di alternatività tra rimborso e detrazione esclude l’illimitata possibilità di revoca della scelta del rimborso, originariamente effettuata (cfr., Cass., 25 settembre 2019, n. 23852).

Rimborso IVA e dichiarazione integrativa: i chiarimenti della Cassazione

Quanto infine ai termini di presentazione della dichiarazione integrativa, le Sezioni Unite hanno chiarito che:

“La possibilità di emendare la dichiarazione dei redditi, per correggere errori od omissioni che abbiano determinato l’indicazione di un maggior reddito o, comunque, di un maggior debito d’imposta o di un minor credito, mediante la dichiarazione integrativa di cui all’art. 2 comma 8 bis, è esercitabile non oltre il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, con compensazione del credito eventualmente risultante.

La possibilità di emendare la dichiarazione dei redditi conseguente ad errori od omissioni in grado di determinare un danno per l’amministrazione, è esercitabile non oltre i termini stabiliti dall’art. 43 del D.P.R. n. 600 del 1973.

Il rimborso dei versamenti diretti di cui all’art. 38 del D.P.R. n. 602/1973 è esercitabile entro il termine di decadenza di quarantotto mesi dalla data del versamento, indipendentemente dai termini e modalità della dichiarazione integrativa di cui all’art. 2 comma 8 bis del D.P.R. n. 322/1998.

Il contribuente, indipendentemente dalle modalità e termini di cui alla dichiarazione integrativa prevista dall’art. 2 del D.P.R. n. 322/1998 e dall’istanza di rimborso di cui all’art. 38 del D.P.R n. 602/1973, in sede contenziosa, può sempre opporsi alla maggiore pretesa tributaria dell’amministrazione finanziaria, allegando errori, di fatto o di diritto, commessi nella redazione della dichiarazione, incidenti sull’obbligazione tributaria” (Cass., Sez. U, 30 giugno 2016, n. 13378).

Conclude pertanto la Cassazione rilevando che il principio di emendabilità della dichiarazione erronea, che abbia comportato per il contribuente oneri diversi e più gravosi di quelli che, in base alla legge, devono restare a suo carico, riguarda dunque la rettifica di dichiarazioni oggettivamente errate, laddove il termine ultimo per la presentazione della dichiarazione integrativa, quando si tratti di dichiarazione a favore del contribuente, è costituito da quello stabilito per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo di imposta successivo.

Rimborso IVA e dichiarazione integrativa: l’evoluzione della normativa

Rileva quindi la Corte che la presentazione dell’istanza di rimborso, in base alla disciplina applicabile ratione temporis, non è però preclusa dall’omessa presentazione della dichiarazione integrativa ai sensi dell’art. 2, comma 8-bis, D.P.R. n. 322 del 1998, non sussistendo alcuna interferenza tra l’autonoma facoltà di emendare gli errori mediante dichiarazione integrativa e la presentazione dell’istanza stessa.

A prescindere dallo specifico caso processuale, giova infine evidenziare che il DL n. 193/2016, in materia di integrativa “a favore”, è intervenuto a rendere omogenei i termini per integrare una dichiarazione.

L’attuale formulazione del comma 8 dell’articolo 2 del Dpr 322/1998 non distingue più tra dichiarazione “a favore” del contribuente e dichiarazione “a sfavore” e il termine di presentazione, ora unico in entrambi i casi, coincide con quello per l’accertamento (art. 43 D.P.R. 600/73).

L’effetto riflesso di tale importante equiparazione tra integrativa a favore e integrativa a sfavore è che, proprio seguendo il ragionamento della Corte, istanza di rimborso e dichiarazione integrativa non sono (più) due rimedi fra loro alternativi e complementari.

Prima della modifica normativa, infatti, come visto il contribuente, per porre rimedio a errori o dimenticanze a proprio sfavore riferite a dichiarazioni presentate, aveva a disposizione due strade:

  • integrare, entro il termine di presentazione della dichiarazione successiva, la dichiarazione originaria, facendo emergere quindi un minor debito (o un maggior credito) da utilizzare in compensazione (articolo 2, comma 8-bis, del Dpr 322/1998);
  • presentare istanza di rimborso entro 48 mesi dal versamento del saldo della dichiarazione (articolo 38 del Dpr 602/73).

Dopo l’entrata in vigore del D.L. 193/2016, la nuova formulazione dell’art. 2, comma 8, del D.P.R. n. 322/1998, supera invece l’orientamento della giurisprudenza di legittimità a favore della complementarietà dei due rimedi.

Rimborso IVA e dichiarazione integrativa: quando utilizzare l’una e l’altra

Alla luce delle intervenute modifiche legislative di cui al D.L. 193/2016, pertanto, l’istanza di rimborso non può più essere considerata un rimedio alternativo e concorrente con la presentazione della dichiarazione integrativa, dovendo il contribuente necessariamente presentare, laddove intenda modificare quanto già dichiarato, dichiarazione integrativa, soggetta poi, naturalmente, al controllo dell’Ufficio in ordine ai diversi presupposti giuridici che tale “revirement” possano, eventualmente, giustificare.

La dichiarazione integrativa rappresenta infatti, oggi, l’unico strumento che consente al contribuente, da un lato, di far valere eventuali rettifiche a suo favore rispetto ai dati indicati nella dichiarazione originariamente trasmessa, e, dall’altro lato, all’Amministrazione Finanzia di svolgere i suoi poteri di controllo e di accertamento, tenendo anche conto dei nuovi elementi fatti oggetto di integrazione, se ce ne sono e se sono validi.

L’istanza di rimborso, invece, non riveste la natura di atto collaborativo attraverso il quale si comunicano “fatti” (presupposti di imposizione) rilevanti ai fini dei successivi controlli e accertamenti.

Ed infatti l’istanza di rimborso non implica la rimozione dei fatti comunicati con la dichiarazione originaria, ma soltanto la rimozione degli “effetti” causati dagli stessi “fatti” (presupposti di imposizione) originariamente dichiarati.

In sostanza, l’istanza di rimborso non può essere considerata elemento idoneo a emendare/ritrattare la dichiarazione; e, infatti, in presenza di un’istanza di rimborso, l’attività di controllo e di accertamento dell’Amministrazione finanziaria continua a fare riferimento esclusivamente alla dichiarazione originariamente presentata (sia per i termini di decadenza dell’accertamento che con riferimento ai “fatti” ivi indicati).

L’istanza di rimborso non fornisce quindi alcuna nuova versione del presupposto impositivo, per cui non risulta (rectius: non può risultare) elemento idoneo a emendare/ritrattare la dichiarazione.

In definitiva, l’istanza di rimborso e la dichiarazione integrativa non sono strumenti fungibili, dato che gli effetti che si ottengono con la dichiarazione integrativa non equivalgono (rectius: non possono equivalere) affatto a quelli scaturenti dall’istanza di rimborso.

Qualora quindi il contribuente si accorga di aver commesso un errore in sede di dichiarazione, o comunque voglia procedere a una modifica di quanto originariamente dichiarato, può presentare, nei termini previsti dalla legge, una dichiarazione integrativa con cui rettificare gli importi dichiarati.

L’istanza di rimborso, invece, costituisce uno strumento mediante il quale il contribuente può chiedere la restituzione di versamenti non dovuti o eseguiti in eccesso rispetto a quanto dovuto rispetto al dichiarato.



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link