In Emilia-Romagna, il distretto biomedicale di Mirandola si distingue per una forte integrazione tra servizi sanitari e produzione industriale, un processo supportato da programmi formativi che coinvolgono operatori con competenze multidisciplinari, dalla tecnologia alla sanità. Nel Mezzogiorno, poli tecnologici come quello aerospaziale di Grottaglie sono impegnati in una profonda digitalizzazione, accompagnata da iniziative formative che mirano a rafforzare le capacità tecniche e innovative dei lavoratori.
Questi esempi dimostrano chiaramente come la servitizzazione non sia solo una strategia commerciale, ma un vero e proprio processo di trasformazione culturale e formativa. Le imprese che investono nel capitale umano e nell’innovazione della formazione riescono a creare valore sostenibile e ad affrontare con successo le sfide di un mercato in continua evoluzione.
Nel contesto di un’economia sempre più fondata sulla generazione di valore immateriale, la competizione tra imprese non si gioca più – o non esclusivamente – sul prodotto in sé, bensì sull’ecosistema di servizi che ne amplifica l’utilizzo, ne estende il ciclo di vita, ne valorizza la fruizione e ne rafforza la reputazione. La tradizionale distinzione tra settori primario, secondario e terziario appare ormai superata: è il paradigma della servitizzazione a delineare oggi il perimetro della competitività, anche per imprese storicamente orientate al prodotto.
Esemplificativo, in tal senso, il posizionamento di brand iconici come Ferrari o Ducati. Non si tratta semplicemente di eccellenze manifatturiere, ma di piattaforme esperienziali articolate, in cui il valore percepito nasce dall’integrazione sinergica tra ingegneria, design, servizi pre e post vendita, narrazione di marca e community building. È questa stratificazione terziaria che trasforma un prodotto in un simbolo culturale e in un asset strategico a rilevanza globale.
Per il sistema Paese, ciò impone una riflessione strategica ormai ineludibile. Riconoscere il ruolo sistemico della servitizzazione, in particolare all’interno del terziario avanzato, significa ridefinire le direttrici della politica industriale nazionale: occorre favorire la nascita e lo sviluppo di filiere ibride, capaci di integrare capacità produttiva, infrastrutture tecnologiche e know-how relazionale. Un’evoluzione che richiede visione, scelte strutturali e investimenti coerenti, in grado di sostenere modelli di crescita fondati sulla conoscenza, sulla personalizzazione dei servizi e sulla creazione di valore condiviso.
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