Perché il regime forfettario italiano rischia di sparire, il Fmi chiede l’abolizione


Nella sua ultima pagella all’Italia, il Fondo Monetario Internazionale ha puntato il dito contro il regime forfettario, una formula fiscale che per molti rappresenta l’unica via di fuga da una giungla tributaria soffocante.

Quella flat tax al 5% per chi apre una nuova partita Iva e al 15% per chi già naviga nel mare magnum delle professioni autonome non piace al Fondo, che la considera una fonte di squilibri e di mancato gettito.

Ma nella realtà dei contribuenti, questo meccanismo non è un privilegio: è un salvagente fiscale.

Perché il regime forfettario crea disuguaglianze secondo il Fmi

La flat tax forfettaria per gli autonomi comporta un’aliquota sensibilmente più bassa (5% per le nuove attività, poi 15%) rispetto alle aliquote progressive Irpef cui sono soggetti i lavoratori dipendenti e gli altri contribuenti (dal 23% fino al 43%).

Il Fmi osserva che questa differenza crea disuguaglianze nel carico fiscale: la tassazione agevolata risulta “eccessivamente sbilanciata a favore della sua nutrita platea di beneficiari”, offrendo a molti autonomi un trattamento di favore non accordato al resto dei contribuenti.

Proprio per questo, il Fondo suggerisce di eliminare tale aliquota privilegiata: la rimozione della flat tax per le partite Iva, secondo il Fmi migliorerebbe l’equità del sistema tributario italiano ed eviterebbe distorsioni.

Troppe agevolazioni fiscali: l’Italia perde gettito

La preoccupazione del Fmi non è solo di equità, ma anche di sostenibilità del gettito. Applicare un’aliquota ridotta a una fetta così ampia di contribuenti comporta minori entrate tributarie per lo Stato.

Il rapporto dice infatti che abolendo questo trattamento preferenziale si “eviterebbero perdite di gettito fiscale”. Il potenziale impatto sui conti pubblici non è irrilevante: l’innalzamento della soglia del forfettario a 85.000 euro, introdotto con la Legge di Bilancio 2023, ha portato oltre la metà delle partite Iva (51%) ad adottare regimi fiscali agevolati.

Si tratta di circa 1,9 milioni di contribuenti che nel 2023 hanno optato per il forfait (+6,5% rispetto all’anno precedente).  Ciò significa che una porzione significativa della base imponibile nazionale sta versando il 5-15% di imposta sostitutiva invece delle aliquote Irpef ordinarie, con un conseguente mancato introito per l’Erario.

Il Fondo fa bene i conti, ma sembrerebbe mancare di oggettività e di tessuto sociale reale, e l’equità è cosa ben diversa dall’eguaglianza. C’è anche da dire che sarebbe assolutamente impensabile chiedere a chi guadagna mille euro lordi al mese in p.iva di versare metà del proprio reddito in tasse: sarebbe una sproporzione inaudita. O almeno, la soluzione più sensata sarebbe probabilmente introdurre più scaglioni: tra chi fattura mille euro al mese e chi si avvicina agli 80mila lordi l’anno, passa un abisso.

La proposta del Fmi: meno sconti, più equità

La flat tax per gli autonomi è solo un tassello di un puzzle ben più vasto. Il Fmi mette sotto esame l’intera architettura della spesa fiscale italiana: un groviglio di esenzioni, sconti e detrazioni che rende il sistema più simile a un labirinto che a una struttura razionale. Il Fondo propone di fare ordine e tagliare il superfluo, ma la scure rischia di colpire anche strumenti che, piaccia o no, funzionano da paracadute per molti.

Tra le voci nel mirino ci sono alcune detrazioni selettive, come quella per le mogli a carico, accusata di frenare l’occupazione femminile. Il Fmi vorrebbe rimuoverla, nella convinzione che eliminare un disincentivo sia sufficiente a scardinare decenni di squilibri di genere. Sulla carta può suonare bene, ma nella pratica le dinamiche familiari e lavorative italiane sono un po’ più complesse di così, anche se il tasso di disoccupazione segna una discesa.





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