Finanziamento On Invitalia Non Rimborsato: Rischi Per Startup E Imprese Femminili


Hai ricevuto un finanziamento agevolato con il bando “ON – Oltre Nuove imprese a tasso zero” di Invitalia, ma ora non riesci più a rimborsarlo?

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in gestione dei debiti da incentivi pubblici e difesa legale per startup e nuove imprese – è pensata per aiutarti a capire come intervenire subito e in sicurezza.

Scopri cosa succede se non riesci a restituire un finanziamento ON di Invitalia, quali sono le possibili conseguenze per te e per la tua impresa, quando può scattare la revoca dell’agevolazione e quali strumenti legali puoi attivare per proteggerti.

Alla fine della guida troverai tutti i contatti per richiedere una consulenza riservata, analizzare il tuo caso con un avvocato esperto e costruire una strategia efficace per gestire il debito senza compromettere il tuo futuro imprenditoriale..

Introduzione

Il finanziamento “ON – Oltre Nuove imprese a tasso zero” è un importante incentivo gestito da Invitalia per sostenere giovani imprenditori e imprenditrici donne nell’avvio e sviluppo di nuove attività imprenditoriali. Si tratta di un sostegno finanziario misto, composto in parte da un mutuo a tasso zero da restituire e in parte da un contributo a fondo perduto, finalizzato a coprire la maggior parte degli investimenti iniziali delle startup innovative e delle piccole imprese femminili. Il programma ON è attivo su tutto il territorio italiano e negli ultimi anni (anche grazie ai fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza – PNRR) ha visto un rifinanziamento e un ampliamento delle risorse dedicate, in particolare a favore delle imprese femminili.

Questa guida approfondita esamina cosa accade se il finanziamento ON non viene rimborsato e quali rischi comporta per le startup e le imprese a conduzione femminile beneficiarie. Verranno descritti nel dettaglio il funzionamento del bando ON (requisiti, beneficiari, condizioni economiche), le clausole contrattuali tipiche e gli obblighi per i beneficiari, e soprattutto le conseguenze giuridiche in caso di inadempimento: dalla revoca dell’agevolazione e recupero forzoso dei crediti (responsabilità civili), fino ai possibili profili di responsabilità penale (ad es. in caso di utilizzo illecito dei fondi pubblici) e di responsabilità amministrativa (sanzioni, esclusione da futuri incentivi, intervento della Corte dei Conti, ecc.). Sono inclusi esempi pratici di casi di mancato rimborso con commento giuridico, oltre a riferimenti di giurisprudenza e aggiornamenti normativi al 2025. L’obiettivo è fornire alle neo-imprese beneficiarie – in particolare startup giovanili e imprese femminili – una panoramica chiara dei rischi connessi al mancato rimborso di ON – Nuove imprese a tasso zero, così da comprendere l’importanza di adempiere puntualmente agli obblighi assunti.

Nota: Il presente documento è aggiornato ad aprile 2025 e tiene conto delle ultime novità normative e giurisprudenziali in materia. È strutturato in sezioni con intestazioni e paragrafi brevi per facilitare la consultazione, e include riferimenti normativi, sentenze e fonti utili nelle sezioni finali. Le citazioni bibliografiche sono riportate tra parentesi quadre con riferimenti alle fonti originali.

Cos’è il finanziamento “ON – Oltre Nuove imprese a tasso zero”

ON – Oltre Nuove imprese a tasso zero è un incentivo pubblico rivolto alle micro e piccole imprese a prevalente partecipazione giovanile o femminile, concepito per favorire la creazione di nuove imprese e lo sviluppo di imprese esistenti (purché di recente costituzione) su tutto il territorio nazionale. L’iniziativa rientra nell’ambito delle misure di autoimprenditorialità previste dal Titolo I, Capo II, del decreto legislativo 185/2000 ed è gestita operativamente da Invitalia, l’Agenzia nazionale per lo sviluppo d’impresa, per conto del Ministero competente (oggi MIMIT, già MiSE). La disciplina attuativa è stata aggiornata con il Decreto Interministeriale 4 dicembre 2020, che ha ridefinito criteri e modalità di intervento, e successivamente integrata per tenere conto delle risorse del PNRR destinate all’imprenditoria femminile (D.M. 24 novembre 2021).

Le agevolazioni offerte da ON – Nuove imprese a tasso zero consistono in un finanziamento a tasso zero (senza interessi) della durata massima di 10 anni, combinato con un contributo a fondo perduto (ossia una parte di finanziamento che non deve essere restituita). Complessivamente, il sostegno può coprire fino al 90% delle spese ammissibili del progetto d’impresa. In pratica, quindi, l’impresa beneficiaria deve in genere apportare almeno il 10% di mezzi propri sul programma di investimenti approvato.

Di seguito esamineremo in dettaglio i requisiti per accedere al finanziamento, i beneficiari ammessi, le spese finanziabili e le condizioni economiche dell’agevolazione, prima di passare ai rischi in caso di mancato rimborso.

Beneficiari e requisiti di accesso

Il finanziamento ON si rivolge a giovani e donne che vogliono diventare imprenditori, attraverso due categorie di beneficiari principali:

  • Imprese già costituite (micro o piccole imprese) da non oltre 60 mesi (5 anni) alla data di presentazione della domanda. Per le imprese già avviate, è richiesto che la compagine societaria sia composta, per oltre la metà sia numerica dei soci sia delle quote di partecipazione, da giovani di età compresa tra 18 e 35 anni oppure da donne di qualsiasi età. In altri termini, l’impresa deve avere una maggioranza giovanile o femminile, potendo rientrare in questa definizione anche imprese totalmente femminili (senza limiti di età per le socie) o totalmente giovanili (tutti under-36), oppure miste purché con predominanza numerica e di capitale di giovani/donne.
  • Persone fisiche che intendono costituire una nuova impresa (start-up). Anche in questo caso, per ottenere l’agevolazione occorre poi costituire effettivamente la società secondo i requisiti di composizione sopra indicati (maggioranza di giovani 18-35 e/o donne). La misura consente dunque anche la creazione ex novo di imprese giovanili o femminili.

Ulteriori requisiti richiesti includono: la forma giuridica (sono ammesse società di persone, di capitali, cooperative; in genere non ditte individuali se non per la fase di presentazione come persona fisica che poi costituisce società), la dimensione di micro o piccola impresa (secondo la definizione UE, quindi con meno di 50 addetti e fatturato/bilancio annuo sotto 10 milioni €), e la non trovarsi in stato di difficoltà finanziaria al momento della domanda. Inoltre, i proponenti non devono aver ricevuto (o almeno devono aver restituito) eventuali altre agevolazioni pubbliche revocate in passato: ad esempio, i bandi richiedono assenza di inadempienze relative ad altri incentivi (come la restituzione di somme dovute a seguito di revoche di agevolazioni concesse dal Ministero). Questo implica che, se un soggetto ha precedentemente beneficiato di un finanziamento pubblico poi revocato e non ha restituito le somme, potrebbe essere escluso dall’accesso a nuovi incentivi come ON.

Va evidenziato che ON – Nuove Imprese a tasso zero è nato per favorire l’imprenditoria giovanile e femminile, allineandosi con politiche di inclusione e coesione. Dal 2022 una parte delle risorse proviene dal PNRR Missione 5 “Inclusione e coesione” – Investimento 1.2 “Creazione di imprese femminili”, con uno stanziamento dedicato di 100 milioni di euro rivolto alle imprese a partecipazione femminile. Questo ha ampliato le opportunità per le imprese “in rosa”, ma comporta anche una maggiore attenzione al rispetto delle condizioni, visto il monitoraggio stringente associato ai fondi PNRR.

Progetti finanziabili e spese ammissibili

Le agevolazioni ON possono finanziare una vasta gamma di iniziative imprenditoriali nei principali settori economici. In particolare sono ammissibili progetti nei settori di: produzione di beni (industria, artigianato, trasformazione prodotti agricoli), fornitura di servizi alle imprese e alle persone, commercio di beni e servizi, e turismo (compreso turismo culturale e servizi per la ricettività). L’obiettivo è sia sostenere la creazione di nuove attività, sia l’ampliamento, diversificazione o trasformazione di attività esistenti, purché promosse da imprese giovani/femminili. I progetti devono avere carattere imprenditoriale e sostenibile, con un business plan valutato da Invitalia.

Vi sono differenze nei massimali di investimento in base all’anzianità dell’impresa proponente:

  • Per imprese costituite da meno di 36 mesi (o per persone fisiche che costituiscono l’impresa, quindi startup in senso stretto), il piano di investimento può prevedere spese ammissibili fino a €1.500.000. Entro tale importo, è possibile includere anche un certo ammontare di capitale circolante (spese di gestione iniziali) purché giustificato nel piano d’impresa, fino ad un massimo del 20% del totale investimenti. Il capitale circolante comprende ad esempio acquisto di materie prime, materiali di consumo, servizi necessari all’attività, utenze, canoni di locazione, ecc., ed è utile per sostenere la startup nei primi passi.
  • Per imprese costituite da più di 36 mesi e fino a 60 mesi (3–5 anni di vita), è consentito presentare progetti con spese ammissibili fino a €3.000.000. Queste imprese sono in fase più avanzata, spesso con fatturato e attività già avviate, e l’incentivo serve per piani di espansione o nuove linee di business. Anche per esse può essere previsto un limite (implicitamente, il capitale circolante potrebbe essere ammesso nel limite del 20% degli investimenti anche se non esplicitamente ridetto per questa categoria, ma la regola generale di solito vale).

Le spese ammissibili coprono investimenti materiali e immateriali tipici di una fase di avvio o espansione. A titolo esemplificativo, rientrano tra le spese finanziabili: macchinari, impianti e attrezzature nuovi di fabbrica; opere murarie e ristrutturazioni (entro certi limiti sul totale); software, tecnologie ICT, servizi tecnologici; brevetti, licenze e marchi; consulenze specialistiche e altre spese strettamente funzionali al progetto. Per le imprese più giovani (0-36 mesi), il contributo a fondo perduto è concentrato su alcune voci di spesa (impianti, attrezzature, software, brevetti, ecc.) in misura pari al 20% di tali spese, come vedremo a breve. Non sono invece ammissibili spese per usi personali, investimenti finanziari, beni usati (salvo eccezioni particolari), e in generale qualunque spesa non coerente col progetto approvato.

È importante sottolineare che i programmi di investimento devono essere realizzati entro 24 mesi dalla data di stipula del contratto di finanziamento, salvo eventuali proroghe concesse. Il rispetto dei tempi di realizzazione è infatti uno degli obblighi chiave per il beneficiario, la cui violazione può portare a revoca (ad es. ritardi gravi nella realizzazione e rendicontazione possono condurre a una revoca parziale o totale dell’agevolazione). Su questo torneremo parlando dei rischi di inadempimento.

Struttura dell’agevolazione: finanziamento a tasso zero e fondo perduto

L’agevolazione ON è composta da due strumenti finanziari combinati: un mutuo agevolato a tasso zero da restituire e un contributo a fondo perduto. La somma di queste due componenti può coprire fino al 90% del totale delle spese ammissibili del progetto. In altre parole, l’impresa deve finanziare con risorse proprie almeno il 10% degli investimenti.

  • Finanziamento agevolato (mutuo): è un prestito a tasso zero, senza interessi, con una durata massima di 10 anni. La restituzione avviene tipicamente in rate semestrali posticipate (di norma con scadenza il 30 giugno e 31 dicembre di ogni anno), dopo un eventuale periodo di preammortamento. Durante l’esecuzione del progetto (i primi 24 mesi) spesso è prevista la sola corresponsione di interessi (in questo caso nulli, essendo tasso zero) e la restituzione effettiva del capitale inizia successivamente. Il piano di ammortamento può quindi comprendere un breve periodo di preammortamento più 10 anni di ammortamento. Il finanziamento copre la quota di agevolazione non coperta dal fondo perduto, e deve essere integralmente rimborsato dall’impresa nei tempi previsti contrattualmente.
  • Contributo a fondo perduto: è la parte di agevolazione che non dovrà essere restituita dal beneficiario, a condizione che siano rispettati tutti i vincoli e obblighi del contratto. Il contributo viene erogato sempre in combinazione col mutuo e non supera determinate percentuali. Per le imprese costituite da non più di 36 mesi, il contributo a fondo perduto può coprire fino al 20% di specifiche spese (macchinari, impianti, attrezzature, programmi informatici, servizi ICT, brevetti, licenze). Per le imprese costituite da oltre 36 mesi (fino a 60), l’incentivo PNRR prevede un contributo ridotto, pari al 15% delle stesse categorie di spesa. In ogni caso, la componente a fondo perduto non può superare il 20% dell’investimento totale e rientra nei limiti delle risorse disponibili (se i fondi grant si esauriscono, l’agevolazione può essere concessa interamente come finanziamento agevolato).

Esempio: una startup under-36 con progetto da €200.000 potrebbe ottenere fino a €180.000 di agevolazione, di cui €40.000 a fondo perduto (20% di 200k) e €140.000 come mutuo decennale a tasso zero. Un’impresa femminile costituita da 4 anni con progetto da €400.000 potrebbe avere €360.000 agevolazione di cui €60.000 fondo perduto (15% di 400k) e €300.000 di mutuo. In ogni caso, la parte di mutuo costituisce un debito per l’impresa beneficiaria e dovrà essere rimborsata puntualmente negli anni seguenti.

Erogazione delle somme: l’agevolazione viene normalmente erogata a tranche, man mano che l’impresa realizza le spese (erogazione a Stati di Avanzamento Lavori, SAL). Sono previsti massimo 5 SAL, incluso il saldo finale. Ad esempio, l’impresa può chiedere una prima erogazione dopo aver sostenuto una quota di investimenti, allegando relative fatture (anche non quietanzate entro certi limiti). In particolare, è consentito ottenere le erogazioni presentando fatture non quietanzate (non ancora pagate) nel limite del 20% dell’agevolazione per il primo SAL e del 30% per i SAL successivi, a patto però di dimostrare il pagamento delle spese del SAL precedente prima di ricevere le tranche successive. Ciò facilita l’avvio degli investimenti senza dover anticipare integralmente i pagamenti. In alternativa ai SAL tradizionali, è attivo un meccanismo con conto corrente vincolato in convenzione con ABI, per cui Invitalia accredita le somme su un conto dedicato da cui vengono pagati direttamente i fornitori, velocizzando la liquidazione delle fatture.

È anche prevista la possibilità di ottenere una anticipazione fino al 40% dell’agevolazione totale, subito dopo la firma del contratto, ma in tal caso l’impresa deve presentare una fideiussione bancaria o assicurativa a garanzia dell’anticipo. Ad esempio, su un progetto da €300.000 approvato, l’impresa può richiedere subito €120.000 previa garanzia; tale importo sarà poi dedotto dalle erogazioni a SAL successive. La fideiussione serve a tutelare Invitalia nel caso l’impresa non utilizzi correttamente l’anticipo (in caso di revoca, la garanzia viene escussa per recuperare l’anticipo non coperto da spese rendicontate).

Garanzie richieste: una caratteristica rilevante di ON è che, di norma, non vengono richieste garanzie reali o personali sul finanziamento agevolato concesso (ad eccezione dell’eventuale fideiussione per anticipazione, come sopra). Questo aspetto rende il bando particolarmente attrattivo per startup e piccole imprese, che spesso hanno difficoltà ad offrire garanzie a banche: Invitalia eroga il mutuo a tasso zero senza richiedere ipoteche su beni o firme di avallo dai soci, salvo che il finanziamento sia di importo molto elevato (indicativamente sopra €250.000) – nei primi bandi era menzionato il limite di €250.000 sotto il quale non si chiedono garanzie, mentre oltre tale importo potrebbero essere richieste garanzie sul progetto finanziato. Le fonti più recenti indicano comunque che “il finanziamento… non prevede la richiesta di garanzie reali o personali”, pur richiedendo all’impresa un’adeguata copertura assicurativa dei beni acquistati. Ciò significa che i macchinari, impianti e attrezzature finanziate devono essere assicurati contro danni e perdita, per salvaguardare sia l’impresa sia l’erogatore pubblico. Attenzione: il fatto che non vengano richieste garanzie non implica che l’impresa sia sollevata dall’obbligo di rimborso. Al contrario, come vedremo, l’assenza di garanzie facilita l’accesso al credito agevolato, ma in caso di mancato rimborso Invitalia potrà comunque attivarsi con azioni legali ordinarie per recuperare le somme dovute, con l’eventuale escussione delle fideiussioni se fornite (es. quella sull’anticipo) o il pignoramento dei beni aziendali acquistati (che generalmente dovrebbero essere mantenuti nell’attività).

Normativa di riferimento e aggiornamenti (2023–2025)

Il quadro normativo dell’incentivo ON – Nuove imprese a tasso zero è delineato dai seguenti atti principali:

  • Decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 185, Titolo I, Capo II: base giuridica delle misure per l’autoimprenditorialità giovanile, che istituiva strumenti agevolativi poi evolutisi in “Nuove Imprese a Tasso Zero”.
  • Decreto interministeriale 4 dicembre 2020: ha ridefinito la disciplina di ON, semplificando e potenziando l’incentivo (ad esempio elevando la copertura al 90% e introducendo la componente a fondo perduto fino al 20%).
  • Circolare MiSE 8 aprile 2021 n. 117378: disposizioni attuative e chiarimenti operativi per la presentazione delle domande e l’erogazione delle agevolazioni. Una successiva Circolare integrativa 20 aprile 2021 n. 135072 ha rettificato alcuni allegati tecnici di valutazione senza alterare la sostanza dell’incentivo.
  • Decreto interministeriale 24 novembre 2021: destina risorse del PNRR alla misura ON, con focus su imprese femminili, e disciplina alcune condizioni particolari per tali fondi.
  • Circolare MISE 4 maggio 2022 n. 168851: definisce requisiti e condizioni per il sostegno finanziario a valere sulle risorse PNRR (imprese femminili), integrando la normativa esistente.

Negli ultimi 24 mesi (2023-2025) ci sono stati alcuni aggiornamenti e novità rilevanti:

  • La Legge 27 dicembre 2023 n. 206 (Legge di bilancio sul Made in Italy) ha disposto un rifinanziamento della misura ON con 15 milioni di euro per il 2024 per rafforzare il sostegno all’imprenditoria femminile. Questo conferma la continuità dello strumento e l’interesse strategico verso startup e imprese guidate da donne.
  • A livello europeo, sono entrati in vigore nuovi regolamenti sugli aiuti di Stato de minimis e esenzioni: il Regolamento (UE) 2023/2831 (de minimis) e il Regolamento (UE) 2023/1315 che modifica il Reg. 651/2014 (GBER). Tali normative incidono sul quadro generale degli incentivi: ON in parte ricade nella disciplina GBER (esenzioni da notifica) e in parte potrebbe sottostare a de minimis per alcune componenti. Le nuove soglie e criteri (es. de minimis innalzato a €300.000) possono quindi influire su future concessioni, anche se per ora l’impianto di ON resta sostanzialmente invariato.
  • Invitalia ha emanato nel febbraio 2025 aggiornate Linee Guida per la gestione dei crediti in sofferenza per le imprese beneficiarie di incentivi come ON. In esse vengono disciplinate le procedure di dilazione, rinegoziazione e transazione del debito agevolato in caso di difficoltà di rimborso, come vedremo più avanti. Queste linee guida (edizioni 2021 e 2025) sono uno strumento importante per prevenire o gestire in modo sostenibile l’inadempimento, alla luce anche delle conseguenze economiche della pandemia e della crisi energetica che hanno colpito molte PMI beneficiarie tra 2020 e 2022.

Nel complesso, il contesto normativo attuale (aprile 2025) offre ancora importanti opportunità tramite ON – Nuove imprese a tasso zero, ma con regole precise. Conoscere tali regole e rispettarle è fondamentale: la disponibilità di un finanziamento pubblico agevolato comporta infatti anche una serie di obblighi e responsabilità per l’impresa beneficiaria. Nel prossimo capitolo analizziamo le clausole contrattuali tipiche che legano Invitalia e l’impresa, evidenziando gli impegni da rispettare per evitare la revoca del finanziamento.

Clausole contrattuali e obblighi per le imprese beneficiarie

Quando un progetto imprenditoriale viene ammesso all’agevolazione ON, l’impresa proponente è chiamata a sottoscrivere un contratto di finanziamento con Invitalia, che disciplina nel dettaglio termini, condizioni, obblighi e diritti di entrambe le parti. Questo contratto (spesso denominato “atto di concessione” o “contratto di ammissione alle agevolazioni”) ha natura privatistica ma integra anche i vincoli pubblicistici propri dell’agevolazione. Vediamo le clausole tipiche e gli obblighi chiave che il beneficiario deve rispettare:

  • Destinazione vincolata delle risorse: Il finanziamento agevolato è concesso da Invitalia all’esclusivo scopo di realizzare il progetto di investimenti approvato. Ciò significa che l’impresa deve utilizzare le somme ricevute solo per le spese e finalità previste dal progetto ammesso e dalle norme. È generalmente vietato impiegare i fondi per scopi diversi. Ad esempio, il contratto spesso specifica che è causa di decadenza se i fondi vengono distratti a finalità estranee al programma agevolato. L’impresa deve inoltre documentare adeguatamente tutte le spese tramite fatture e giustificativi: una rendicontazione poco accurata o spese non dimostrate possono portare a riduzione o revoca dell’agevolazione. L’“utilizzo improprio dei fondi” è uno degli errori da evitare assolutamente, perché comporta la richiesta di restituzione del finanziamento da parte dell’ente finanziatore.
  • Tempi di realizzazione e obbligo di rendicontazione: Come accennato, l’impresa ha l’obbligo di completare il programma di investimenti entro 24 mesi dalla firma del contratto (salvo proroghe autorizzate). Eventuali ritardi devono essere comunicati e motivati. La mancata realizzazione nei tempi concordati o il mancato rispetto delle scadenze di presentazione della documentazione di spesa può determinare la revoca parziale o totale delle agevolazioni concesse. Ad esempio, se entro 24 mesi l’impresa realizza solo il 70% dell’investimento e non ottiene una proroga, Invitalia potrà revocare il restante 30% di agevolazione non utilizzata e ridurre proporzionalmente il contributo a fondo perduto. Nei casi più gravi (progetto abbandonato o non iniziato) si rischia la revoca totale. È pertanto fondamentale rispettare un cronoprogramma e rendicontare puntualmente le spese a SAL, inviando a Invitalia i documenti richiesti (fatture, quietanze, state of work) nei tempi previsti. La scarsa accuratezza nella rendicontazione e il non rispetto delle scadenze di invio documenti sono errori tipici che possono mettere a rischio il finanziamento.
  • Divieto di modifiche sostanziali non approvate: L’impresa è tenuta a realizzare il progetto così come approvato. Modifiche significative al piano (variazione di sede, cambi nell’oggetto sociale, variazione delle spese principali, sostituzione di macchinari con altri diversi, etc.) devono essere preventivamente comunicate e autorizzate da Invitalia. Una modifica non autorizzata può costituire violazione contrattuale. Ad esempio, spostare l’iniziativa imprenditoriale all’estero o in luogo diverso da quello indicato, oppure cambiare la destinazione d’uso dei beni acquistati, sono fattispecie normalmente vietate prima della conclusione del progetto e per un certo periodo successivo. In un documento Invitalia si cita come causa di revoca la “cessione o delocalizzazione all’estero” dell’attività finanziata prima del completamento del programma. Allo stesso modo, alienare o cedere i beni acquisiti con l’agevolazione prima della scadenza del finanziamento è proibito: il decreto attuativo prevede la revoca se i beni acquistati con il contributo sono venduti o distratti prima di aver terminato il progetto e prima di aver finito di rimborsare il mutuo agevolato (fanno eccezione eventuali sostituzioni con beni analoghi autorizzate, es. sostituire un macchinario guasto con uno nuovo). Dunque l’impresa deve mantenere i beni nell’attività ed evitare cambi di piano non concordati, almeno fino a fine progetto (e spesso per alcuni anni dopo, ad esempio fino a totale rimborso).
  • Mantenimento dei requisiti e continuità dell’attività: Una clausola essenziale è che l’impresa beneficiaria mantenga i requisiti che hanno dato diritto all’agevolazione per un periodo minimo. Ciò include sia requisiti soggettivi (ad esempio la composizione societaria giovanile/femminile non dovrebbe essere stravolta immediatamente dopo la concessione, anche se la normativa non impone esplicitamente il congelamento delle quote, è implicito che non si può cedere l’impresa a terzi non aventi i requisiti subito dopo aver ottenuto il finanziamento) sia requisiti oggettivi, come la permanenza dell’unità produttiva attiva. In particolare, la cessazione dell’attività dell’impresa agevolata è causa di risoluzione del contratto/decadenza dal beneficio. Se l’impresa chiude (per liquidazione volontaria, fallimento o altra procedura concorsuale) prima di aver concluso il piano o nei primi anni, il contratto prevede la revoca delle agevolazioni nonché il recupero di quanto erogato. Ad esempio, nelle linee guida ministeriali è riportato che la revoca scatta in caso di “assoggettamento dell’impresa a procedura concorsuale con finalità liquidatoria” (fallimento, liquidazione coatta, concordato liquidatorio) o in caso di “anticipata cessazione dell’attività prima che siano trascorsi tre anni dall’erogazione dell’ultima quota”. Ciò significa che l’impresa deve rimanere operativa per un certo periodo post-finanziamento (spesso almeno 3-5 anni, a garanzia che l’intervento pubblico abbia effettivamente creato sviluppo duraturo). In sintesi: non si può cessare o vendere l’impresa subito dopo aver ottenuto i soldi pubblici, pena la revoca.
  • Obblighi assicurativi e di tutela dei beni: Come accennato, pur non richiedendo garanzie reali, Invitalia impone che i beni strumentali acquistati con l’agevolazione siano coperti da polizze assicurative adeguate. Questa clausola serve ad assicurare che, in caso di eventi avversi (furto, incendio, danneggiamento), i beni possano essere recuperati o rimpiazzati senza perdere il patrimonio investito. L’impresa deve dunque stipulare assicurazioni (ad esempio incendio/furto per macchinari) indicando Invitalia come beneficiaria vincolataria in caso di indennizzo, cosicché l’eventuale rimborso assicurativo venga destinato a ripristinare i beni o rimborsare il debito. Inoltre, spesso il contratto richiede la conservazione in buono stato dei beni finanziati e il loro non smontaggio/spostamento senza autorizzazione.
  • Obblighi di informativa e monitoraggio: L’impresa beneficiaria deve consentire controlli e ispezioni da parte di Invitalia o di altri organi deputati (ad es. Ministero, Guardia di Finanza, Corte dei Conti) sia durante la realizzazione che dopo. Deve tenere una contabilità separata o quantomeno registrazioni chiare delle spese di progetto. Inoltre, una legge sulla trasparenza (L.124/2017) impone di dichiarare annualmente in bilancio gli importi ricevuti come aiuti pubblici. In base all’art.1 comma 125 di tale legge, se l’impresa omette di indicare in Nota Integrativa i contributi pubblici ricevuti sopra €10.000, può scattare la sanzione della restituzione delle somme e la risoluzione del contratto di agevolazione. Invitalia stessa ha ricordato che il mancato rispetto dell’obbligo di trasparenza comporta la revoca (anche parziale) delle agevolazioni concesse. Si tratta quindi di un adempimento da non trascurare: l’impresa deve comunicare nei bilanci gli aiuti ON ottenuti, pena la decadenza.
  • Piano di rimborso e clausole di inadempimento finanziario: Il contratto di mutuo agevolato include naturalmente il piano di ammortamento con l’indicazione delle rate semestrali da pagare (in linea capitale, dato che interessi ordinari non ce ne sono). Le scadenze sono tipicamente fisse (30 giugno e 31 dicembre di ogni anno) e ogni rata rappresenta una quota di capitale da restituire. È prassi inserire una clausola risolutiva espressa che prevede la risoluzione del contratto in caso di mancato pagamento delle rate secondo determinate soglie. Ad esempio, la normativa stabilisce che il mancato pagamento di almeno 2 rate semestrali costituisce causa di revoca dell’agevolazione. Quindi, se l’impresa salta due scadenze di rimborso consecutive, Invitalia ha titolo per risolvere il contratto e considerare decaduta l’agevolazione. Anche il mancato pagamento di una singola rata può portare a sanzioni: solitamente, dopo un singolo mancato pagamento scatta una mora e una diffida a regolarizzare, mentre al secondo mancato pagamento Invitalia può procedere alla risoluzione anticipata. È importante notare che anche solo una rata non pagata in un eventuale piano di dilazione o rinegoziazione concesso successivamente comporterà l’immediata decadenza di quei piani e la risoluzione definitiva del contratto. Questo a sottolineare la severità con cui viene trattato l’inadempimento finanziario. Dunque, pagare puntualmente le rate del mutuo agevolato è un obbligo fondamentale: l’impresa deve programmare la propria finanza tenendo conto delle scadenze semestrali dal momento in cui iniziano le restituzioni.
  • Interessi di mora e penali: Sebbene il finanziamento sia a tasso zero, in caso di ritardato pagamento delle rate sono dovuti gli interessi moratori sulle somme scadute. Il tasso di mora è di solito definito contrattualmente facendo riferimento al tasso di riferimento UE vigente al momento dell’accordo di rinegoziazione o dilazione, oppure agli interessi legali. Ad esempio, nelle linee guida 2025 si prevede che sulle nuove rate rinegoziate si applichino “interessi di dilazione al tasso di riferimento UE”. Inoltre, se la revoca è disposta, sulle somme da restituire decorrono interessi legali fino al rimborso. Ciò significa che, pur essendo a costo zero se pagato regolarmente, il finanziamento ON diventa oneroso in caso di default, gravandosi di interessi di mora e spese legali. In alcune controversie i debitori hanno contestato il livello di questi interessi di mora, ma la giurisprudenza ha ritenuto infondate le accuse di usurarietà, considerando tali interessi come accessori legittimi dovuti per il ritardo (Tribunale Roma, sent. 13/11/2018, in una causa di opposizione a decreto ingiuntivo di Invitalia per rate impagate).

In sintesi, il contratto con Invitalia impegna l’impresa beneficiaria a realizzare effettivamente il progetto, mantenere in vita l’iniziativa imprenditoriale per un periodo congruo, restituire il finanziamento secondo il piano previsto, e osservare una serie di divieti (non distogliere fondi, non vendere beni, non cessare anticipatamente, ecc.). La violazione di questi obblighi fa scattare tipicamente la “risoluzione del contratto” da parte di Invitalia e la revoca delle agevolazioni con conseguente richiesta di rimborso di quanto già erogato. Nella sezione seguente esamineremo proprio le conseguenze del mancato rimborso o della violazione delle clausole contrattuali: quali sono i rischi e le responsabilità che ricadono sull’impresa (e talvolta sui suoi rappresentanti) in tale scenario.

Rischi e conseguenze del mancato rimborso del finanziamento ON

Cosa accade se un’impresa beneficiaria non rimborsa il finanziamento a tasso zero di Invitalia? Il mancato rimborso – dovuto ad esempio a difficoltà finanziarie, default dell’azienda, o inadempimento volontario – innesca una serie di conseguenze molto serie per la startup o l’impresa femminile interessata. Tali conseguenze si sviluppano su diversi piani:

  • Sul piano contrattuale e civile: la perdita dell’agevolazione (revoca e decadenza dal beneficio), l’obbligo di restituire le somme ricevute (sia il mutuo che il fondo perduto eventualmente ottenuto), l’attivazione di procedure di recupero crediti forzoso da parte di Invitalia, che può portare anche all’insolvenza o al fallimento dell’impresa.
  • Sul piano “amministrativo”: sanzioni, provvedimenti di revoca formali, impossibilità di accedere ad altri incentivi pubblici, e potenzialmente interventi della Corte dei Conti per il danno erariale causato. Inoltre, per le persone giuridiche, eventuale responsabilità amministrativa ex d.lgs. 231/2001 se sono stati commessi reati.
  • Sul piano penale: qualora il mancato rimborso sia accompagnato da profili di illecito (ad esempio uso distorto dei fondi pubblici, frode nelle dichiarazioni, bancarotta, ecc.), possono configurarsi reati a carico degli amministratori/soci, come la malversazione ai danni dello Stato o la truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche.

Analizziamo in dettaglio ciascun profilo di rischio, ricordando che spesso questi piani si sovrappongono (un caso di insolvenza può portare sia a conseguenze civilistiche che a indagini penali, e così via). In tutti i casi, il denominatore comune è che il mancato rimborso del finanziamento agevolato fa venire meno i benefici e trasforma l’agevolazione in un debito esigibile verso lo Stato, con tutte le azioni che ne conseguono.

Revoca dell’agevolazione e decadenza dal beneficio

Il primo e immediato effetto di un inadempimento grave (come il mancato pagamento delle rate) è la revoca dell’agevolazione da parte di Invitalia. La revoca è un provvedimento formale con cui l’ente concedente dichiara la decadenza dal diritto alle agevolazioni precedentemente concesse. In pratica, significa che l’impresa perde il beneficio del finanziamento a tasso zero e del contributo a fondo perduto, come se non ne avesse mai avuto diritto.

La revoca può essere totale o parziale a seconda della situazione: nel caso di mancato rimborso delle rate del mutuo, in genere si procede alla revoca totale (poiché l’inadempimento finanziario è considerato una violazione grave del contratto). Invitalia, accertato il mancato pagamento di almeno due rate semestrali dovute, avvia la procedura di risoluzione/decadenza. Solitamente viene inviata all’impresa una comunicazione formale di avvio del procedimento di revoca, con indicazione delle inadempienze contestate e un termine per eventuali controdeduzioni. Se l’impresa non regolarizza o non presenta motivazioni valide, si arriva al provvedimento finale di revoca dell’agevolazione e risoluzione del contratto di finanziamento.

Le cause tipiche di revoca (oltre al mancato pagamento rate) includono, come visto, la cessazione anticipata dell’attività, la violazione dei vincoli di destinazione dei beni, il mancato rispetto degli obblighi di documentazione, etc. In tutti questi casi la revoca comporta per l’impresa il venir meno di qualsiasi contributo: non solo non verranno erogate eventuali tranche residue, ma l’impresa dovrà restituire quelle già ricevute. In altri termini, con la revoca l’agevolazione si trasforma in un debito verso Invitalia.

Più tecnicamente, il provvedimento di revoca dispone la decadenza dal beneficio ai sensi delle norme citate nel contratto o nei decreti attuativi, con l’obbligo di restituzione delle somme erogate. Ad esempio, l’art. 12 del D.M. attuativo prevede che la revoca comporta: (i) per la parte di eventuale garanzia concessa, la decadenza dell’intervento e la restituzione dell’equivalente sovvenzione; (ii) per la parte di finanziamento e contributo, la restituzione delle somme già erogate, maggiorate degli interessi legali). In pratica, l’impresa revocata dovrà restituire tutto il finanziamento agevolato ottenuto, più gli interessi legali calcolati dal momento dell’erogazione. Anche gli importi ricevuti a fondo perduto diventano da restituire integralmente (perdendo la natura di contributo a fondo perduto). Si tratta quindi di un effetto molto oneroso: l’impresa potrebbe trovarsi improvvisamente con un debito pari alla somma di tutte le tranches ricevute (mutuo + grant) da restituire in un’unica soluzione.

Da notare che la revoca per inadempienza del beneficiario viene inquadrata dalla giurisprudenza come un’azione legata al mancato adempimento di obblighi contrattuali. Non è un provvedimento “punitivo” discrezionale, ma una conseguenza automatica del fatto che l’impresa non ha rispettato le condizioni concordate. In tali casi, in caso di contestazione giudiziale, si tratta di controversie da risolvere innanzi al giudice ordinario (poiché vertono su diritti soggettivi derivanti da un contratto). Le Sezioni Unite della Cassazione hanno infatti ribadito che le dispute sulla revoca di un contributo pubblico per inadempienze del beneficiario rientrano nella giurisdizione ordinaria, trattandosi di decadenza dal beneficio per violazione di obblighi e non di esercizio di discrezionalità amministrativa. Ciò significa che, se un’impresa revocata volesse impugnare la revoca, dovrebbe farlo di fronte al Tribunale civile (o presentare opposizione a decreto ingiuntivo, come vedremo) e non al TAR, a meno che non contesti aspetti di legittimità estranei al suo adempimento.

Una volta emessa la revoca, l’impresa viene formalmente dichiarata decaduta dall’agevolazione. Oltre all’obbligo di restituzione delle somme, ciò comporta immediatamente anche l’esclusione da eventuali erogazioni non ancora effettuate: ad esempio, se era stata approvata ma non ancora erogata una tranche finale a saldo, questa viene annullata. Inoltre, tutti i benefici accessori decadono (servizi di tutoraggio, assistenza, ecc.).

In sostanza, la revoca segna il passaggio da una posizione di beneficiario di un aiuto a quella di debitore nei confronti dello Stato. Da quel momento, l’impresa non è più considerata come avente diritto all’incentivo, ma come un soggetto da cui recuperare denaro pubblico indebitamente goduto. Questo passaggio apre la strada alle successive azioni di recupero crediti e ad ulteriori responsabilità, trattate nelle prossime sottosezioni.

Azioni di recupero crediti e responsabilità civilistiche

Dopo la revoca e la risoluzione del contratto, l’importo dovuto dall’impresa beneficiaria diventa esigibile. Invitalia procederà quindi con le azioni di recupero crediti necessarie per rientrare in possesso delle somme erogate. La prima mossa è di norma una richiesta formale di pagamento (ingiunzione bonaria) all’impresa, intimando la restituzione dell’importo entro un termine breve. Se l’impresa non paga spontaneamente, si passa alle vie legali.

La forma tipica è il ricorso al decreto ingiuntivo: trattandosi di credito di fonte contrattuale e documentale (provvedimento di revoca, contratto, estratto delle rate impagate, ecc.), Invitalia può chiedere al tribunale un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo per l’importo dovuto. Ad esempio, in diversi casi Invitalia ha ottenuto decreti ingiuntivi contro imprese inadempienti e, se queste hanno fatto opposizione, il giudice ha confermato la legittimità delle pretese di Invitalia (respingendo eccezioni come l’usura o altre contestazioni). Una volta munita di titolo esecutivo (decreto ingiuntivo non opposto o sentenza), Invitalia potrà procedere con esecuzione forzata sui beni del debitore.

Le possibili azioni di recupero includono:

  • Escussione di garanzie: se l’impresa aveva prestato garanzie (es. la fideiussione bancaria per l’anticipo), Invitalia ne chiederà l’escussione. La banca o assicurazione garante sarà tenuta a pagare l’importo garantito a prima richiesta. Questo copre spesso la parte iniziale, ma non l’intero debito (se solo un anticipo era garantito). In caso di fideiussioni sui beni acquistati (ipotesi meno frequente in ON), anche queste verrebbero escusse.
  • Realizzazione di garanzie reali: se sul progetto vi erano garanzie reali (ad esempio, in alcuni contratti potrebbe essere previsto un privilegio speciale sui macchinari finanziati o un’ipoteca su un immobile coinvolto), Invitalia può attivare la procedura esecutiva su tali beni. Ad esempio, se c’è un’ipoteca su un capannone, chiederà il pignoramento e la vendita all’asta; se vi è privilegio speciale sui macchinari (ex art. 46 D.Lgs. 385/93), potrà farli pignorare preferendo sugli altri creditori.
  • Azione giudiziaria ordinaria di recupero: in mancanza di garanzie sufficienti, Invitalia agirà come un qualunque creditore, promuovendo il pignoramento dei beni dell’impresa. Può essere pignorato il conto corrente aziendale, i crediti verso terzi, i macchinari, gli automezzi aziendali, ecc., fino a soddisfazione del credito. Nel caso di società di capitali, la responsabilità è limitata al patrimonio sociale: i soci non rispondono con beni personali, a meno che non abbiano garantito personalmente o che emerga una loro responsabilità separata (ad es. per atti illeciti). Nel caso invece di ditte individuali o società di persone, il patrimonio personale dell’imprenditore (o dei soci) può essere aggredito, essendo confuso con quello dell’impresa.
  • Risoluzione immediata di eventuali piani di rientro: se Invitalia, prima di arrivare a revoca, avesse concesso all’impresa un piano di dilazione o rinegoziazione del debito, e questo venisse violato (anche una sola rata mancata del piano dilazionato), quel piano viene annullato e si torna a pretendere tutto immediatamente. Ad esempio, supponiamo che l’impresa sia in ritardo e Invitalia concordi di spalmare due rate non pagate su un periodo extra: se l’impresa poi non paga puntualmente le rate della dilazione, la dilazione si risolve e l’intero debito residuo diventa esigibile subito.

L’effetto finale sul piano civilistico è che l’impresa inadempiente si trova di fronte a un debito monetario consistente, richiesto indietro in un’unica soluzione, con interessi e spese legali aggiuntive (gli interessi legali dalla revoca, gli interessi di mora eventualmente contrattuali, più le spese di giudizio).

Questo spesso porta l’impresa in una situazione di insolvenza. Infatti, molte startup o PMI che avevano fatto affidamento sul fatto di restituire il mutuo in 10 anni senza interessi, se costrette a restituire tutto in blocco (magari dopo aver speso i fondi nel progetto, che però non ha ancora generato flussi di cassa) si trovano nell’impossibilità finanziaria di farvi fronte. Ne conseguono possibili scenari di crisi aziendale: l’impresa potrebbe dover chiedere un concordato preventivo, o addirittura subire istanza di fallimento (ad esempio, proprio Invitalia potrebbe attivarsi per dichiarare fallita la società debitrice insolvente, in qualità di creditore insoddisfatto).

Occorre evidenziare che la responsabilità per il debito resta in capo all’impresa beneficiaria in quanto tale. Il socio o l’amministratore, di regola, non sono civilmente responsabili personalmente delle obbligazioni sociali (se parliamo di s.r.l. o s.p.a.), a meno di comportamenti distrattivi o illecito che configurino reati (di cui diremo dopo). Quindi, il recupero creditizio avverrà sul patrimonio aziendale. Tuttavia, per startup innovative spesso l’impresa ha pochi asset: macchinari, arredi, eventuali brevetti. Invitalia potrà pignorarli, ma se non coprono il debito, la restante parte sarà difficilmente recuperabile. In queste situazioni, oltre all’azione civile, lo Stato può coinvolgere la Corte dei Conti per imputare un danno erariale agli amministratori o beneficiari, come vedremo più avanti nella parte amministrativa/contabile.

Un altro effetto collaterale civilistico è che l’impresa (e i suoi esponenti) perdono di affidabilità verso il sistema bancario e pubblico. Un’agevolazione revocata e non restituita verrà segnalata, e ciò precluderà accesso ad altri crediti anche privati (le banche potrebbero considerare negativa la storia creditizia). Inoltre, eventuali investitori privati potrebbero tirarsi indietro di fronte a società gravate da contenziosi con lo Stato. Dunque, il fallimento del rimborso può segnare la fine dell’esperienza imprenditoriale o comunque un grave pregiudizio alla sua prosecuzione.

Riassumendo i rischi civili: debito immediatamente esigibile (fino all’intero importo agevolato + interessi), azioni legali aggressive (decreti ingiuntivi, pignoramenti, escussione garanzie), rischio di insolvenza e procedure concorsuali, perdita di credibilità finanziaria. Per una startup o impresa femminile spesso con capitali limitati, ciò equivale quasi certamente alla chiusura o a dover ripianare il debito con risorse personali (se si vuole evitare il fallimento, i soci potrebbero provare a ripagare con mezzi propri, convertendo di fatto il debito sociale in un esborso personale).

Va menzionato che Invitalia, in alcuni casi, offre strumenti di rientro negoziale per evitare il peggio: prima di arrivare a esecuzioni, l’impresa può proporre un accordo transattivo (saldo e stralcio) o ottenere rinegoziazioni come da linee guida 2025. Ad esempio, se l’impresa è insolvente ma vuole evitare azioni legali, può proporre a Invitalia di pagare una percentuale del dovuto (non inferiore al 25% del debito totale, secondo le linee guida). Invitalia valuterà se accettare in base al valore dei beni e alle prospettive di recupero. Questo è un aspetto di composizione bonaria che attiene comunque all’ambito civilistico: una transazione che può chiudere il debito con un pagamento parziale concordato (il cosiddetto saldo e stralcio). Tuttavia, una transazione viene valutata solo in casi particolari, ad esempio per società revocate solo per mancato pagamento rate (senza frodi o irregolarità gravi), e se non ci sono procedimenti penali in corso né denunce. In pratica è un’opportunità per chi è in difficoltà finanziaria ma ha agito in buona fede. Se la transazione è negata o non richiesta, si procederà col recupero integrale.

Impatto sull’impresa: insolvenza, fallimento e responsabilità verso terzi

Come accennato, il mancato rimborso del finanziamento ON può portare l’impresa verso la crisi irreversibile. Le startup e imprese femminili sono spesso realtà fragili, con capitali ridotti: il peso di dover restituire decine o centinaia di migliaia di euro in un colpo solo può eccedere di gran lunga le loro possibilità, soprattutto se il progetto non ha generato ancora utili significativi. Ciò comporta:

  • Difficoltà di cassa e blocco dell’operatività: le azioni esecutive di Invitalia (pignoramento dei conti, attrezzature) possono impedire all’impresa di proseguire le attività quotidiane. Ad esempio, un pignoramento del conto bancario congela i fondi e rende arduo pagare fornitori o dipendenti. Il sequestro di macchinari essenziali ferma la produzione. Questo effetto a catena può uccidere l’impresa ancor prima della formale dichiarazione di fallimento.
  • Procedura concorsuale (fallimento o liquidazione): se il debito verso Invitalia rimane insoddisfatto e l’impresa non ha modo di risanare, uno sbocco naturale è la procedura fallimentare (per le società soggette) o la liquidazione. Invitalia stessa, vantando un credito certo e scaduto, può presentare istanza di fallimento come creditore. Alternativamente, l’impresa potrebbe optare per un concordato preventivo offrendo ai creditori (inclusa Invitalia) una percentuale. In ogni caso, una PMI che subisce una revoca di un finanziamento pubblico quasi sempre finisce per cessare l’attività, se non riesce a trovare capitali esterni per rimborsare.
  • Perdita del capitale investito e degli asset imprenditoriali: la revoca annulla anche il contributo a fondo perduto, il che può essere percepito come un danno particolarmente duro. Immaginiamo un’impresa che ha ricevuto €50.000 a fondo perduto e €150.000 di mutuo, investendoli in attrezzature: in caso di revoca deve restituire anche i €50.000, magari non più disponibili in cassa. Questo può portare i soci a dover vendere beni aziendali (spesso acquistati con quei soldi) magari a valori di realizzo bassi, distruggendo quanto costruito. Alla fine, l’impresa potrebbe venire spogliata di tutti i beni per pagare il debito e comunque restare con debiti residui.
  • Effetti sui soci e sugli organi societari: se la società fallisce, gli amministratori potrebbero dover rispondere di eventuali condotte di mala gestio in sede fallimentare (azione di responsabilità per aver causato danni, se ad esempio hanno sperperato i fondi). I soci perdono il capitale sociale che avevano investito e ogni prospettiva di guadagno futuro. Inoltre, i soci/amministratori coinvolti in fallimenti possono subire limitazioni (es. non possono avviare altre imprese senza l’ombra del precedente insuccesso, e potrebbero essere interdetti dall’esercizio di imprese in caso di condotte dolose).
  • Debiti verso fornitori/terzi: spesso, l’inadempimento verso Invitalia si accompagna ad altri debiti. Se il progetto imprenditoriale non decolla, l’impresa potrebbe accumulare anche debiti commerciali (fornitori non pagati) o tributari. Il collasso finanziario generale impatta anche questi creditori. In definitiva, il mancato rimborso può essere il sintomo di uno stato di insolvenza più ampio. Ciò può esporre gli amministratori anche a responsabilità verso terzi per aver continuato l’attività aggravando il dissesto (in Italia esiste l’obbligo di adottare tempestivamente strumenti di allerta o liquidare la società se il capitale si riduce oltre certe soglie, pena responsabilità per aggravamento del buco).

In conclusione, per una startup o impresa femminile beneficiaria, non rimborsare il finanziamento ON significa quasi sicuramente perdere l’impresa stessa. Salvo casi in cui i soci abbiano abbastanza mezzi propri per ripianare il debito (il che però vanifica il senso dell’agevolazione), il peso del rimborso forzato può portare alla chiusura.

Un ulteriore aspetto civile da considerare: se l’impresa beneficiaria era una società di persone (es. SNC di due giovani o società semplice), i soci rispondono illimitatamente e solidalmente dei debiti sociali. Ciò significa che Invitalia potrebbe chiedere il rimborso anche direttamente ai soci di tali forme giuridiche. Per esempio, se due giovani in una SNC ottengono l’agevolazione e poi l’attività va male, Invitalia può aggredire i beni personali di entrambi per soddisfare il credito, senza dover prima escutere la società (che è in realtà un’estensione delle persone dei soci). Questo è un rischio notevole per chi avvia in forme diverse dalla SRL: si rischia il patrimonio personale (casa, risparmi).

Diverso il caso delle società di capitali (SRL, SRLS, SPA): qui la regola generale è la separazione patrimoniale, quindi i soci perdono al massimo il capitale investito, ma non dovrebbero pagare di tasca propria i debiti sociali. Tuttavia, se i soci avessero dato fideiussioni personali (non richieste da Invitalia, ma magari date a banche in parallelo), quelle potrebbero attivarsi. Inoltre, c’è il capitolo responsabilità penale: se emergono irregolarità o frodi, i soci/amministratori possono essere coinvolti penalmente, e in sede penale (o contabile) può essere chiesto loro il risarcimento anche personale. Su questi aspetti torniamo a breve.

Esclusione da ulteriori incentivi e conseguenze amministrative

Un’impresa che non rimborsa (quindi subisce la revoca) va incontro anche a conseguenze in termini di rapporti con la Pubblica Amministrazione e future opportunità:

  • Impossibilità di accedere ad altri incentivi pubblici: come già accennato, i bandi di finanziamento agevolato richiedono di solito che i proponenti non abbiano pendenze in corso per precedenti agevolazioni revocate. In particolare, i criteri ON stesso (e analoghi, come “Resto al Sud”, Smart&Start ecc.) prevedono l’esclusione di chi abbia precedenti provvedimenti di revoca non sanati (somme non restituite). Pertanto, un’impresa che non ha rimborsato ON non potrebbe ad esempio accedere a un futuro bando similare o a contributi regionali, finché non risolve la posizione (ossia finché non restituisce tutto il dovuto). Questo viene verificato tramite banche dati e autodichiarazioni. Ciò significa che, oltre a perdere l’agevolazione attuale, l’impresa (o i soci in nuove forme societarie) si precludono il supporto pubblico futuro, venendo di fatto “blacklistati” come soggetti inaffidabili. Ad esempio, se una delle socie di un’impresa femminile revocata volesse costituire qualche anno dopo una nuova startup e chiedere contributi, la sua domanda verrebbe respinta se risultano somme non restituite dal precedente fiasco. Questa clausola è pensata per evitare che soggetti inadempienti possano reiterare comportamenti opportunistici su più finanziamenti.
  • Possibili sanzioni amministrative pecuniarie: nell’ordinamento italiano esistono fattispecie in cui, al posto di una sanzione penale, è prevista una sanzione amministrativa. Ad esempio, l’indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato (art. 316-ter c.p.) se l’importo è inferiore a una certa soglia (circa 4.000 euro) non costituisce reato ma è punita con una sanzione amministrativa fino al triplo del beneficio indebitamente ottenuto. Ciò potrebbe applicarsi in casi limite in cui l’impresa ottiene una piccola somma senza averne titolo e non la restituisce: in tal caso potrebbe essere destinataria di un’ingiunzione di pagamento non solo della somma ma anche di una multa amministrativa. Tuttavia, nella maggior parte dei casi di ON le cifre sono superiori e si attivano direttamente conseguenze civili e penali.
  • Intervento della Corte dei Conti (responsabilità erariale): un aspetto peculiare delle agevolazioni pubbliche è che il loro mancato recupero può essere considerato un danno erariale. La Corte dei Conti, che vigila sull’uso delle risorse pubbliche, può avviare un procedimento di responsabilità amministrativa-contabile nei confronti di chi ha causato un danno allo Stato. Se un finanziamento viene revocato e non recuperato per insolvenza, lo Stato subisce una perdita patrimoniale. In prima battuta, lo si mette a perdita nel bilancio pubblico. Ma la Corte dei Conti può chiedersi se vi siano soggetti responsabili di tale danno. Tipicamente, la responsabilità erariale ricade su funzionari pubblici che abbiano con dolo o colpa grave contribuito al danno; tuttavia, in diversi casi recenti la Corte dei Conti ha chiamato a rispondere anche beneficiari privati di fondi pubblici, specialmente in ipotesi di condotte fraudolente o gravemente colpose. Ad esempio, nel 2024 la Corte dei Conti Campania ha condannato 13 imprenditori a risarcire circa 1 milione di euro per aver percepito indebitamente fondi Invitalia in una truffa orchestrata (fondi destinati a disoccupati). In quella vicenda, i beneficiari avevano presentato spese fittizie con un sistema di “assegni fantasma” e la GdF ha scoperto l’irregolarità, contestando un danno erariale di 950 mila euro. I soggetti coinvolti sono stati chiamati a rispondere davanti alla Corte dei Conti per la restituzione dell’importo, maggiorato di rivalutazione e interessi. Analogamente, un’altra sentenza ha condannato un beneficiario a risarcire oltre €10.000 per aver cessato anticipatamente l’attività finanziata, vanificando il contributo (cfr. Corte dei Conti, sent. n. 293/2019 – caso Salmena, citato su fonti giornalistiche). Dunque, anche se l’impresa fallisce e non paga, i suoi rappresentanti potrebbero trovarsi citati dalla Corte dei Conti per recuperare il danno. Ciò avviene soprattutto se c’è malafede: ad esempio, l’aver ottenuto fondi con documenti falsi (truffa) o l’averli distolti dal progetto (malversazione) integra un illecito arricchimento a danno dello Stato, per cui la Procura contabile può agire. Ma talora basta la colpa grave, come la negligente conduzione che porta a buttare via i soldi pubblici. La responsabilità erariale è personale e può colpire amministratori, soci o beneficiari diretti. La Corte dei Conti può emettere sentenza di condanna al risarcimento in solido. Inoltre può applicare sanzioni interdittive (es. interdizione da contratti con la PA, etc.). Di conseguenza, un imprenditore che sperasse di “far fallire la società e lavarsene le mani” potrebbe scoprire di essere inseguito dallo Stato sul piano contabile. Ad esempio, nel caso di Salerno citato, i 14 imprenditori coinvolti dovranno rispondere con i propri beni del danno da 1 milione, altrimenti la Corte procederà contro di loro.
  • Responsabilità amministrativa dell’ente (D.Lgs. 231/2001): se il mancato rimborso è frutto di una condotta penalmente rilevante (come la truffa ai danni dello Stato), la società stessa può essere soggetta a sanzioni amministrative in base al Decreto 231/2001 sulla responsabilità degli enti per reati commessi nel loro interesse. Ad esempio, la truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640-bis c.p.) e la malversazione (art. 316-bis c.p.) sono reati presupposto che fanno scattare la responsabilità 231. Le sanzioni 231 includono pesanti multe pecuniarie (che si sommano alle restituzioni già dovute) e misure interdittive (anche il divieto di ottenere finanziamenti pubblici futuri). Nel caso di una piccola impresa già colpita da revoca e debiti, la sanzione 231 potrebbe essere poco più che teorica (se l’ente è vuoto, la multa non verrà mai pagata), ma sul piano reputazionale aggiunge un’ulteriore macchia. Inoltre, una condanna 231 impedisce formalmente all’ente di contrattare con la PA e di ottenere altri contributi.
  • Registro nazionale degli aiuti di Stato: ormai esiste un registro pubblico degli aiuti ricevuti dalle imprese. Una revoca di aiuti è registrata e in futuro salterà fuori in qualsiasi verifica. Questo può anche portare, in un quadro normativo in evoluzione, a possibili sanzioni amministrative accessorie. Ad esempio, la Commissione Europea richiede agli Stati membri di recuperare gli aiuti indebitamente fruiti; se un aiuto non viene recuperato perché l’impresa scompare, lo Stato potrebbe considerare misure per evitare il cosiddetto flushing (costituzione di nuova società per eludere recupero): non è escluso che normative future prevedano divieti temporanei di attività imprenditoriale per amministratori coinvolti in mancati rimborsi (questa è una ipotesi, attualmente non codificata esplicitamente se non per reati).

In generale, sul piano amministrativo e dei rapporti pubblici, gli imprenditori coinvolti in un mancato rimborso subiscono una perdita di fiducia e credibilità da parte delle istituzioni. Ciò si riflette in vari modi: dal venire tagliati fuori da opportunità di finanziamento, al poter diventare oggetto di indagini della Guardia di Finanza (che su delega delle Autorità verifica l’uso dei fondi pubblici). Ad esempio, la GdF di Salerno ha condotto approfondite attività investigative incrociando transazioni finanziarie e documentazione giustificativa, proprio per individuare utilizzi illeciti dei contributi pubblici erogati da Invitalia. In caso di sospetti, anche l’impresa inadempiente per ragioni “economiche” potrebbe essere comunque controllata per escludere che dietro l’insolvenza ci fosse un intento fraudolento.

In conclusione, il mancato rimborso espone l’impresa e i suoi esponenti a conseguenze amministrative gravi, di lunga durata: dal ban dagli aiuti, al rischio di dover rispondere di danno erariale, fino alla potenziale applicazione della disciplina 231. Tutto ciò si aggiunge alle ovvie conseguenze civilistiche e alla possibile responsabilità penale individuale.

Profili di responsabilità penale

Ultimo, ma non per importanza, è il capitolo delle responsabilità penali legate al mancato rimborso di un finanziamento pubblico come ON. Va chiarito che il semplice inadempimento contrattuale (non pagare le rate perché non si hanno soldi) di per sé non è un reato. Non esiste il “reato di insolvenza” se non quando è fraudolenta (cioè quando qualcuno contrae obbligazioni senza avere intenzione di adempiere, art. 641 c.p., ma è di rado applicato in questi contesti). Tuttavia, nella vicenda di un finanziamento pubblico non rimborsato spesso entrano in gioco condotte che invece sono penalmente rilevanti, quali: la destinazione illecita dei fondi pubblici, la frode nelle dichiarazioni per ottenerli, oppure reati fallimentari se l’impresa collassa.

Ecco i principali reati configurabili:

  • Malversazione ai danni dello Stato (art. 316-bis c.p.): si verifica quando il beneficiario di finanziamenti pubblici “non li destina alle finalità per le quali gli sono stati erogati”. È un reato tipico dei casi in cui l’impresa riceve contributi e li distragga: ad esempio li usa per spese personali, o comunque non realizza il progetto e nemmeno restituisce i soldi. La malversazione presuppone che il finanziamento sia stato legittimamente ottenuto; il reato consiste nel successivo impiego diverso. La pena prevista è la reclusione da 6 mesi a 4 anni. Un caso di malversazione in ambito Invitalia potrebbe essere: impresa che incassa i fondi ON ma non avvia mai l’attività, spendendo magari i soldi per altri scopi (acquisto di beni non ammessi, prelievi per sé, ecc.). Se poi non restituisce, ha cagionato un danno allo Stato = malversazione. La GdF e la magistratura spingono molto su questo fronte: come visto, hanno contestato “indebita percezione e sviamento di contributi” a vari imprenditori, esattamente i termini di 316-bis. La linea di demarcazione tra un fallimento in buona fede e la malversazione può essere sottile: se l’imprenditore può dimostrare di aver speso tutti i fondi nel progetto ma che il progetto è fallito per ragioni di mercato, non c’è reato (c’è solo inadempimento civile). Se invece emergono spese fuori progetto (vacanze, acquisti personali, beni usati spacciati per nuovi, ecc.), l’accusa di malversazione è dietro l’angolo. Questo reato potrebbe colpire gli amministratori o i soci che hanno deciso tali utilizzi distorti. Ad esempio, nella frode dell’“assegno fantasma” i soggetti simulavano pagamenti per beni mai acquistati, per farsi erogare i soldi e poi intascarli: ciò configura proprio uno sviamento di fondi pubblici (oltre che truffa).
  • Truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640-bis c.p.): si ha quando l’impresa ottiene il finanziamento con inganno o false rappresentazioni, inducendo in errore l’ente erogatore. Ad esempio, presentare fatture false, attestare requisiti che non si hanno, gonfiare i costi in rendicontazione, sono tutti artifici fraudolenti. Se grazie a essi l’impresa ottiene (o conserva) indebitamente l’erogazione, scatta la truffa aggravata ai danni dello Stato, punita con la reclusione da 2 a 7 anni. Molti casi di mancato rimborso nascondono una truffa originaria: l’impresa in realtà non aveva i requisiti o non ha mai voluto davvero fare il progetto. Nel caso discusso in Cassazione SU 2023, ad esempio, la revoca fu decisa perché la Guardia di Finanza scoprì che le fatture presentate dall’impresa erano false e i beni dichiarati nuovi erano in realtà usati. Quella beneficiaria fu prosciolta in sede penale per prescrizione, ma ciò non toglie che il fatto integrava una truffa. Anche nell’operazione in Campania, gli imprenditori hanno indicato fornitori fittizi e poi incassato gli assegni per sé: questo è classico schema di truffa ai finanziamenti. Dunque, se l’impresa non rimborsa perché in realtà ha truffato lo Stato, gli amministratori verranno perseguiti penalmente. In tale contesto, oltre alla pena detentiva, vi sarà la condanna al risarcimento del danno in solido verso l’ente pubblico (spesso quantificato dalla Corte dei Conti come visto). Inoltre, i beni derivanti dalla truffa possono essere soggetti a sequestro e confisca per equivalente da parte dell’autorità giudiziaria: il che significa che la GdF può sequestrare conti correnti, immobili, autoveicoli degli indagati fino a concorrenza dell’importo truffato. Nei casi salernitani citati, sono stati operati sequestri conservativi di unità immobiliari e quote societarie per centinaia di migliaia di euro, proprio a tutela del credito erariale da recuperare.
  • Indebita percezione di erogazioni (art. 316-ter c.p.): è un reato minore, “residuale” rispetto alla truffa, e si ha quando qualcuno ottiene senza averne diritto contributi pubblici “mediante l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o documenti falsi, omissivi, oppure mediante l’omissione di informazioni dovute” ma senza artifici o raggiri gravi. In pratica, è una versione attenuata della truffa (pena max 3 anni) e si applica se la condotta non integra gli estremi più insidiosi della truffa. Nel contesto ON, 316-ter potrebbe applicarsi se l’imprenditore, pur senza una vera messa in scena fraudolenta, ha fornito qualche dichiarazione non veritiera che gli ha permesso di ottenere l’agevolazione. Ad esempio, dichiarare di non aver avuto revoche pregresse quando invece ne aveva, oppure non comunicare la perdita di un requisito durante l’istruttoria. Se la somma indebitamente ottenuta supera €3.999, il fatto è reato (sotto è solo illecito amministrativo). Questo reato è meno comune perché spesso se c’è falsità c’è anche raggiro; comunque resta un rischio: presentare autocertificazioni false a Invitalia (ad esempio sul casellario giudiziale, sullo stato di difficoltà, ecc.) espone a questa incriminazione. In caso di condanna, oltre alla pena, c’è confisca del profitto (quindi delle somme incassate). Dunque il soggetto dovrà restituire i soldi anche in sede penale.
  • Falsità ideologica o materiale in documenti: reati come la falsità ideologica in atto pubblico (art. 483 c.p. per chi dichiara il falso in atto pubblico mediante dichiarazione a pubblico ufficiale) possono ricorrere in questi contesti. Ad esempio, se un legale rappresentante firma una dichiarazione sostitutiva di atto notorio falsa allegata alla domanda, commette un reato di falso. Anche il falso materiale (art. 482 c.p.) se si producono documenti contraffatti (fatture alterate, ecc.). Questi reati di falso spesso vengono contestati insieme alla truffa o all’indebita percezione, come reati-mezzo per ottenere il contributo. Pur non riguardando direttamente il “non rimborso”, fanno parte delle possibili contestazioni penali correlate.
  • Bancarotta fraudolenta: se l’impresa fallisce a seguito del dissesto, durante la procedura fallimentare può emergere che gli amministratori abbiano compiuto atti di distrazione o dissipazione dei fondi, oppure abbiano aggravato il dissesto. In tal caso, potranno essere perseguiti per bancarotta fraudolenta (artt. 216 e segg. legge fallimentare, ora D.Lgs. 14/2019 Codice Crisi). Ad esempio, se i soci hanno prelevato denaro dalle casse sociali a proprio beneficio invece di pagare i debiti (incluso Invitalia), oppure hanno occultato beni acquistati col contributo vendendoli “in nero” prima del fallimento, ciò integra bancarotta. La bancarotta è punita severamente (fino a 10 anni di reclusione) e spesso viene contestata in situazioni in cui contributi pubblici spariscono nel nulla e l’impresa fallisce. Dunque, dopo il danno la beffa: l’imprenditore inadempiente può trovarsi imputato in sede penale anche per reati fallimentari, oltre che per quelli contro la P.A.

In generale, la regola empirica è: se l’impresa ha agito in buona fede ma è andata male, non c’è reato; se c’è stata furbizia o mala fede, c’è reato. Le autorità di controllo cercano di distinguere i casi. Ad esempio, il Tribunale di Lamezia Terme nel 2023 ha assolto un imprenditore accusato di truffa sui fondi Invitalia ritenendo che “il fatto non sussiste” perché probabilmente quell’imprenditore non aveva commesso irregolarità intenzionali. Ciò dimostra che non ogni fallimento viene criminalizzato. Tuttavia, il confine è labile e dipende molto dalle prove.

Per un imprenditore, subire un’indagine penale è già un’enorme pressione: sequestri preventivi di beni, spese legali, possibile arresto se le condotte sono eclatanti (la truffa aggravata ai danni dello Stato è un reato che può portare a misure cautelari). Le imprese femminili o giovanili, magari inesperte, possono commettere leggerezze formali senza volontà di frode e trovarsi comunque implicate. Ad esempio, presentare rendicontazioni improprie può far scattare l’informativa alla procura. È quindi cruciale attenersi alle regole per evitare di oltrepassare la linea della legalità.

Riassunto dei principali reati:

  • Malversazione (316-bis c.p.): non uso i soldi per il progetto -> reclusione fino a 4 anni.
  • Truffa aggravata (640-bis c.p.): ottengo soldi con artifizi (documenti falsi, etc.) -> 2-7 anni reclusione.
  • Indebita percezione (316-ter c.p.): ottengo soldi con false dichiarazioni ma senza vera truffa -> fino a 3 anni (sopra soglia).
  • Falsità ideologica (483 c.p.): false dichiarazioni in autocertificazione -> fino a 2 anni.
  • Bancarotta: distraggo beni o aggravo dissesto prima del fallimento -> fino a 10 anni.

Per completare, un cenno va fatto al patteggiamento: in molti casi di reati di questo tipo, gli imputati scelgono di patteggiare la pena per chiudere il procedimento rapidamente, magari restituendo parte del maltolto. Ciò però implica comunque una condanna penale (sia pur ridotta) e una macchia sul casellario, oltre al risarcimento dovuto.

Riepilogo delle responsabilità in capo all’impresa e agli imprenditori

Mettendo insieme tutti i pezzi: se un’impresa non rimborsa il finanziamento ON, va incontro a:

  • Responsabilità contrattuale/civile: dovrà restituire tutti i soldi (mutuo + fondo perduto) con interessi; se non lo fa volontariamente, subirà cause, decreti ingiuntivi, pignoramenti. L’impresa rischia il fallimento; i soci di società personali rischiano i propri beni; i soci di capitali rischiano di perdere il capitale e l’azienda.
  • Responsabilità amministrativa: revoca del contributo, impossibilità di accedere ad altri fondi finché non regolarizza, possibile coinvolgimento Corte dei Conti per danno erariale (specie se c’è dolo/colpa grave), eventuali sanzioni 231 alla società se reati commessi.
  • Responsabilità penale: per gli amministratori/soci che hanno commesso eventuali reati (truffa, malversazione, etc.), con conseguenti processi e pene detentive, oltre all’obbligo di risarcire. Questo può colpire personalmente gli imprenditori, anche se la società è estinta.

In altre parole, il “rischio d’impresa” in questi casi non è solo economico, ma giuridico a 360 gradi. Per una startup o PMI a conduzione femminile, che magari nasce per dare un’opportunità lavorativa a giovani o donne, il collasso finanziario aggravato da questi obblighi restitutori può trasformarsi in un incubo: perdere l’azienda, indebitarsi pesantemente e dover rispondere davanti alla legge. Ecco perché è fondamentale che chi ottiene un finanziamento ON ne abbia piena consapevolezza e agisca con prudenza e trasparenza, evitando leggerezze.

Nei paragrafi seguenti proporremo alcuni scenari esemplificativi di mancato rimborso e le relative conseguenze, per illustrare in concreto come possono evolvere situazioni di inadempimento, e vedremo poi alcuni riferimenti giurisprudenziali chiave sull’argomento.

Casi pratici di inadempimento e scenari ipotetici

Per comprendere meglio le implicazioni del mancato rimborso, esaminiamo alcuni scenari ipotetici di inadempimento da parte di startup o imprese femminili beneficiarie di ON – Nuove imprese a tasso zero, con un commento sulle possibili conseguenze giuridiche in ciascun caso. Questi esempi sono semplificati ma basati su situazioni realistiche emerse dall’esperienza e dalla giurisprudenza.

Caso 1: Startup innovativa insolvente che non riesce a pagare le rate del mutuo
Scenario: La società Alpha s.r.l., costituita da due giovani under-35, ottiene nel 2022 un finanziamento ON di €200.000 (di cui €40.000 a fondo perduto e €160.000 come mutuo decennale). Avvia un progetto tecnologico, ma nei primi due anni accumula perdite perché il prodotto non raggiunge il mercato nei tempi previsti. Nel 2024 iniziano le rate semestrali da circa €8.000 ciascuna. Alpha paga la prima rata a giugno 2024, ma arriva in difficoltà alla seconda rata di dicembre 2024 e non la paga. Nel 2025 salta anche la rata di giugno. A questo punto ha due rate non pagate (circa €16.000 arretrati). Invitalia, dopo reiterati solleciti, avvia la procedura di revoca per mancato rimborso.

Conseguenze: Invitalia, verificato il mancato pagamento di almeno 2 rate semestrali, dichiara risolto il contratto di finanziamento. Viene emesso un provvedimento di revoca totale dell’agevolazione. Ciò implica che Alpha s.r.l. perde il diritto sia al mutuo residuo (che di fatto non aveva ancora finito di utilizzare del tutto) sia al contributo a fondo perduto. Inoltre, viene dichiarata decaduta e deve restituire quanto già ottenuto. Dato che aveva ricevuto tutti i €200.000 (ipotizziamo già erogati a SAL entro il 2023), ora deve restituire €200.000 maggiorati degli interessi legali dalla data di erogazione. Invitalia invia un’ingiunzione di pagamento per ~€210.000. Alpha s.r.l. ovviamente non dispone di tale liquidità (ha investito i soldi in stipendi, prototipi, ecc.). A questo punto Invitalia ottiene un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo dal tribunale per €210.000. Con quel titolo, a luglio 2025 fa pignorare il conto bancario (saldo quasi zero) e i beni aziendali: computers, una stampante 3D, arredi d’ufficio. Realizza poche migliaia di euro. Fa anche pignorare i crediti verso clienti, ma la startup aveva pochi ricavi. Nel frattempo i due soci non hanno risorse per ripianare. La società viene portata in tribunale per fallimento da un altro creditore (un fornitore non pagato) o dalla stessa Invitalia. Il tribunale ne dichiara il fallimento nel 2026. La procedura fallimentare liquida i residui asset di Alpha s.r.l., ma non riesce a soddisfare che in minima parte il credito di Invitalia (che resta insinuata al passivo per la gran parte). I due soci, essendo una s.r.l., non rispondono civilmente con i propri beni personali, ma perdono tutto l’investimento iniziale e vedono la loro startup chiudere i battenti.

  • Responsabilità civile: la società Alpha è inadempiente e Invitalia rimane creditrice insoddisfatta per la maggior parte. I soci di Alpha perdono l’azienda. Invitalia può considerare, se i presupposti lo permettono, di avviare una transazione: ma nel nostro scenario Alpha non ha proprio fondi, quindi non può nemmeno offrire quel 25% minimo del debito che Invitalia richiede per transare. Dunque nessun accordo e pieno recupero forzoso (purtroppo inefficace per carenza di attivo).
  • Conseguenze collaterali: i due soci under-35 ora hanno un fallimento alle spalle e la loro reputazione creditizia è compromessa. Non potranno accedere facilmente ad altri bandi pubblic…bandi pubblici fino a quando la posizione non sarà regolarizzata. I due giovani imprenditori potrebbero anche essere segnalati alla Centrale Rischi finanziaria con effetti negativi sulla loro capacità di ottenere prestiti bancari personali in futuro. Dal punto di vista penale, tuttavia, in questo scenario non sembrano emergere comportamenti fraudolenti: la startup ha tentato di portare avanti il progetto ma è fallita per motivi economici. Non vi sono indicazioni di uso distorto dei fondi (li hanno spesi sul progetto, anche se senza successo), né di falsità per ottenerli. Pertanto, i soci non dovrebbero subire incriminazioni penali – l’evento resta confinato alla sfera civile. Potrebbero però doversi difendere in un eventuale procedimento contabile se la Corte dei Conti contestasse un danno erariale, ma in mancanza di dolo la responsabilità difficilmente sarà addebitata a loro (più probabile sarebbe un’archiviazione o la concentrazione su casi più gravi).

Caso 2: Impresa femminile che cessa l’attività prima della scadenza
Scenario: Beta SAS è una piccola impresa commerciale fondata da due donne nel 2021, che nel 2022 ottiene €120.000 di agevolazione ON (di cui €24.000 a fondo perduto e €96.000 di mutuo). L’impresa avvia un negozio di prodotti artigianali, ma a fine 2023, complici la crisi economica e dissidi tra le socie, decide di chiudere l’attività. Nel gennaio 2024 Beta SAS cessa la partita IVA e si scioglie anticipatamente, quando mancavano ancora 18 mesi per completare il progetto e il mutuo agevolato non era neppure entrato in ammortamento (era ancora in preammortamento). A quel punto aveva ricevuto €80.000 di agevolazione (primo SAL) e non ancora il resto.

Conseguenze: La cessazione anticipata dell’attività finanziata costituisce grave violazione degli obblighi contrattuali. Invitalia adotta un provvedimento di decadenza dal contributo: revoca immediatamente le agevolazioni concesse in virtù della clausola che vieta di cessare o alienare l’impresa prima del completamento del programma. Ciò comporta che Beta SAS deve restituire gli €80.000 ricevuti (mutuo + contributo) più interessi legali. Inoltre perde ovviamente il diritto a ricevere le tranches non ancora erogate. Beta essendo già sciolta, non paga spontaneamente. Invitalia notifica il decreto ingiuntivo alle ex socie (trattandosi di SAS, i soci accomandatari hanno responsabilità illimitata). L’accomandataria principale, sig.ra X, si trova quindi a dover rispondere col proprio patrimonio personale. Invitalia potrebbe pignorarle l’auto o parte dello stipendio (se nel frattempo è tornata lavoratrice dipendente). Nel 2025, non riuscendo a recuperare tutto, Invitalia segnala la vicenda alla Procura regionale della Corte dei Conti: la chiusura anticipata ha vanificato l’uso di €80.000 di soldi pubblici. La Corte dei Conti avvia un giudizio di responsabilità contabile verso le due socie, contestando danno erariale pari all’importo non recuperato. Le socie provano a difendersi sostenendo di aver restituito parte di beni (hanno venduto le attrezzature del negozio e versato il ricavato di €10.000 a Invitalia). Ma rimane un ammanco. Nel 2026, la Corte dei Conti potrebbe condannare le due a risarcire in solido, poniamo, €50.000 ancora mancanti, riconoscendo una loro colpa grave nell’aver interrotto l’attività in modo da frustrare l’intervento pubblico.

  • Responsabilità civile: le ex socie devono rimborsare Invitalia. Se non dispongono di liquidità, resteranno debitrici a lungo; Invitalia potrà rivalersi su di loro per 10 anni almeno (termine di prescrizione) e rinnovare eventualmente le ipoteche giudiziali se ce ne sono. Se hanno immobili, potrebbero vedersi iscrivere ipoteca legale per il debito.
  • Conseguenze amministrative: oltre al giudizio contabile ipotizzato, le due imprenditrici vengono segnalate come beneficiarie decadute. Se anche volessero, per assurdo, intraprendere un’altra impresa in futuro e chiedere contributi, verrebbero escluse (devono prima sanare il dovuto). Inoltre, la chiusura anticipata potrebbe configurare una violazione dell’art. 316-bis c.p. (malversazione) se si interpreta che non hanno destinato i fondi alle finalità (chiudendo prima di completare l’opera). Tuttavia, in questo caso, loro hanno effettivamente avviato il negozio e investito in esso i fondi; la chiusura è stata dettata da sfiducia e difficoltà economiche, non dall’intento di appropriarsi dei soldi. Quindi penalmente potrebbe non essere contestato nulla, se si ritiene che il progetto è stato comunque avviato. Più facile che tutto si risolva in sede contabile e civile.
  • Lezione appresa: questo scenario mostra che chiudere l’impresa troppo presto “fa scattare l’allarme”. Anche se non c’è malizia, l’ente erogatore tutela l’interesse pubblico richiedendo indietro le risorse. Per le imprenditrici, sarebbe stato consigliabile provare alternative (es: cedere l’attività a qualcuno che continuasse, previa autorizzazione, anziché liquidarla). La normativa prevede talvolta che se l’impresa viene ceduta a terzi mantenendo l’attività, la revoca potrebbe non essere totale ma solo la richiesta di rimborso del mutuo (lasciando il contributo se l’attività prosegue con stesso scopo). Ma non comunicare nulla e cessare espone al massimo rigore.

Caso 3: Utilizzo distorto dei fondi e inadempimento con profili di frode
Scenario: Gamma S.r.l. (startup innovativa di 3 soci, due uomini e una donna, età 30-40) ottiene un finanziamento di €300.000 per sviluppare un impianto produttivo. Nel presentare i SAL, però, commette irregolarità: alcuni macchinari dichiarati come nuovi erano in realtà macchinari usati acquistati da un’azienda collegata a prezzo gonfiato; vengono presentate fatture false per circa €50.000 di spese mai realmente sostenute (per ottenere l’erogazione massima). Invitalia eroga comunque due SAL per totali €200.000, ma in seguito a una segnalazione anonima scatta un controllo. La Guardia di Finanza svolge un accertamento nel 2025 e scopre le anomalie: pezzi di macchinari erano usurati, e tramite verifica incrociata con i conti correnti (operazione “Ghost Check”) emerge che Gamma S.r.l. aveva emesso assegni per pagare fornitore X, ma poi li ha annullati e gli stessi fondi sono stati girati altrove. Insomma, viene alla luce una possibile truffa. A quel punto, Invitalia sospende le erogazioni residue e avvia procedura di revoca totale per violazione delle condizioni (spese non regolari, documento falsi). Gamma S.r.l. nel frattempo è in crisi di liquidità (i soci si sono anche distribuiti parte del fondo perduto in utili…). Nel 2025 la società viene posta in liquidazione volontaria sperando di chiudere la faccenda. Ma le cose si aggravano: la Procura della Repubblica apre un fascicolo per truffa aggravata e falso, iscrivendo nel registro degli indagati l’amministratore di Gamma e il fornitore compiacente. Dispone anche un sequestro preventivo sui conti di Gamma e sui beni personali dell’amministratore fino a concorrenza di €200.000 (profitto del reato). Invitalia si costituisce parte civile nel processo penale chiedendo la condanna al risarcimento. Nel 2026 arriva la sentenza di primo grado: l’amministratore viene condannato a 3 anni di reclusione per truffa ai danni dello Stato (riconosciute le attenuanti generiche e il rito abbreviato) e al pagamento di €150.000 di risarcimento in solido con Gamma S.r.l. verso Invitalia. La società Gamma ormai è inattiva e senza beni, quindi il risarcimento ricade sull’amministratore (che ha qualche proprietà personale). Intanto la Corte dei Conti avvia anch’essa un procedimento per danno erariale, ma vista la condanna penale attende l’esito definitivo.

  • Conseguenze: questo scenario è il peggiore: oltre alla revoca e al recupero forzoso (Invitalia escuterà anche la polizza fideiussoria che Gamma aveva dato per l’anticipo iniziale di €100k, recuperando almeno quello), abbiamo la dimensione penale. L’imprenditore condannato subirà gli effetti della pena (anche se con la condizionale magari evita il carcere), avrà precedenti penali, e dovrà risarcire Invitalia, che può utilizzare la sentenza penale come titolo esecutivo. Inoltre, la condanna comporta per lui l’interdizione temporanea dai pubblici uffici e l’impossibilità di contrarre con la P.A. per la durata stabilita dal giudice. La sua reputazione professionale è rovinata. Se l’importo non viene spontaneamente risarcito, Invitalia e la Corte dei Conti potrebbero iscrivere ipoteca sui suoi immobili o pignorare una parte del suo stipendio futuro. La società Gamma finirà radiata, e i soci non direttamente coinvolti penalmente perdono anch’essi il capitale e forse sono sospettati (se emergono altri complici, potrebbero estendere le indagini).
  • Aspetti di diritto: qui vediamo in azione la truffa aggravata (640-bis), che è stata provata dal fatto delle fatture false. Anche la malversazione (316-bis) è integrata, perché i fondi sono stati in parte sviati a fini non previsti, ma essendo già punita la truffa (che copre la fase dell’ottenimento fraudolento), la malversazione può rimanere assorbita. Il fornitore complice probabilmente viene condannato per concorso in truffa. La condanna al risarcimento in solido evidenzia che, in ultima analisi, chi frodando lo Stato causa un danno deve pagare di tasca propria se l’ente non recupera i soldi. La Corte dei Conti quasi certamente emetterà una sentenza di condanna erariale per la parte non recuperata (anche se in questo caso, con la confisca penale, lo Stato può recuperare una parte – la confisca andrà a vantaggio dell’Erario).
  • Conseguenze amministrative: Gamma S.r.l. e i suoi soci sono definitivamente esclusi da qualsiasi contributo futuro. Anzi, probabilmente sono stati inseriti in elenchi di soggetti segnalati al Ministero. Anche la loro responsabilità 231 poteva essere attivata: la Procura potrebbe contestare alla società Gamma l’illecito amministrativo per truffa ai danni dello Stato. Ciò avrebbe portato a una sanzione pecuniaria 231, ma essendo Gamma poi estinta, la cosa decade (salvo proseguirla sui successori se ce ne fossero).

Analisi comparativa dei casi: I tre scenari mostrano gradazioni diverse:

  • Nel Caso 1 (insolvenza in buona fede) abbiamo “solo” effetto civile: revoca e debito insoluto, con morte dell’impresa ma niente reati.
  • Nel Caso 2 (cessazione anticipata) c’è un inadempimento contrattuale che sfocia in revoca e potenziale danno erariale; borderline con ipotesi di malversazione ma probabilmente trattato come illecito amministrativo.
  • Nel Caso 3 (frodi) l’inadempimento è frutto di condotte illecite: qui intervengono pesantemente la sanzione penale e contabile, oltre ovviamente alla revoca.

Questi esempi aiutano a capire che non tutti i mancati rimborsi sono uguali: le conseguenze giuridiche dipendono molto dal comportamento dell’impresa. Un’impresa onesta ma sfortunata rischia “solo” di dover chiudere e restituire il dovuto (con possibili strascichi contabili), mentre un’impresa disonesta rischia condanne e misure ben più severe. In ogni caso, per le imprese beneficiarie di ON, qualsiasi scenario di inadempienza è estremamente penalizzante.

Giurisprudenza rilevante

Negli ultimi anni si è formata una significativa giurisprudenza in materia di finanziamenti pubblici (inclusi quelli gestiti da Invitalia) e relative revoche per inadempimento. Di seguito riepiloghiamo alcune pronunce e principi chiave:

  • Giurisdizione competente in caso di revoca per inadempimento: La questione se le controversie sulla revoca debbano essere trattate dal giudice amministrativo (TAR) o da quello ordinario è stata risolta dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione. Con ordinanza n. 19966 del 12/07/2023, le Sezioni Unite hanno ribadito che le controversie riguardanti la revoca di finanziamenti pubblici per inadempimenti del beneficiario (mancato rispetto di obblighi di legge o del provvedimento) attengono a diritti soggettivi dell’impresa e rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario. Il giudice amministrativo (TAR) è invece competente solo se la revoca avviene per ragioni di interesse pubblico o vizi originari dell’atto concessorio (auto-tutela amministrativa) e non per colpa del beneficiario. Questo significa che un’impresa a cui Invitalia revoca l’agevolazione per uso irregolare dei fondi, mancata realizzazione del progetto, insolvenza, ecc., non deve ricorrere al TAR, bensì può far valere le proprie ragioni davanti al tribunale civile (tipicamente in sede di opposizione a decreto ingiuntivo o in un’eventuale causa di risarcimento). Ad esempio, Tribunale di Napoli (sentenza n. 3286/2021) e Cass. SU 2023 n. 19966 hanno qualificato come diritti soggettivi le posizioni di una beneficiaria di legge 488/92 a cui il Ministero aveva revocato i fondi per fatture false, trattandosi di decadenza conseguente a violazione di obblighi di rendicontazione. Questo orientamento garantisce all’impresa pieno contraddittorio sul merito delle inadempienze davanti a un giudice ordinario.
  • Clausola risolutiva espressa e risoluzione del contratto: La giurisprudenza civile ha confermato la validità delle clausole contrattuali che prevedono la risoluzione automatica del contratto di finanziamento al verificarsi di determinati eventi (es. mancato pagamento rate, cessazione attività). Ad esempio, Tribunale di Roma, sentenza n. 10124/2024 ha ritenuto legittima la risoluzione del contratto ON per grave inadempimento (nel caso specifico, mancata realizzazione del progetto e violazione dei termini), qualificando la clausola di risoluzione come clausola risolutiva espressa che opera ex art. 1456 c.c. senza necessità di ulteriori messe in mora. In pratica, se il contratto ON prevede che la mancata realizzazione entro 24 mesi risolve il contratto, al verificarsi di ciò Invitalia può sciogliere il rapporto e pretendere il dovuto. Le corti hanno quindi riconosciuto efficacia alle clausole contrattuali standard di Invitalia come strumento di autotutela negoziale.
  • Opposizione a decreto ingiuntivo – interessi di mora e usura: Quando Invitalia agisce con decreto ingiuntivo per recuperare le somme, il debitore può proporre opposizione sollevando varie eccezioni. In un caso, il debitore ha eccepito che gli interessi moratori richiesti da Invitalia fossero usurari. Il Tribunale di Roma (sentenza del 13/11/2018) ha rigettato tale eccezione, ritenendo che gli interessi di mora calcolati da Invitalia (al tasso legale maggiorato o tasso di riferimento UE) non eccedessero la soglia usura, e comunque ricordando che sul finanziamento originario non c’erano interessi corrispettivi (essendo tasso zero). Il tribunale ha dunque ingiunto il pagamento confermando sia il capitale che gli interessi di mora contrattuali. Questa decisione, pur di merito, segnala che le condizioni economiche di rimborso pattuite (inclusa la mora) sono considerate legittime e non abusive, in quanto l’impresa aveva beneficiato di un finanziamento a costo zero e la mora scattava solo in caso di inadempienza.
  • Condotte fraudolente e valutazione dell’affidamento: Un aspetto interessante emerso in Cass. SU 19966/2023 è la posizione del beneficiario che aveva lamentato la lesione del legittimo affidamento perché la revoca era intervenuta molti anni dopo la concessione definitiva e dopo che lei pensava di aver consolidato il contributo. La Cassazione ha però evidenziato che l’affidamento non tutela chi ha violato obblighi (nel caso specifico aveva presentato fatture false), e che l’Amministrazione può agire in autotutela anche a distanza di anni se scopre l’illecito. Inoltre, non è necessario attendere l’esito penale: l’assoluzione penale per prescrizione non impedisce la revoca amministrativa. Le corti hanno dunque affermato che “la regolarità formale dei rendiconti non impedisce la revoca se si scopre che in realtà erano mendaci”. L’affidamento tutelabile è solo quello di chi ha agito correttamente.
  • Sentenze di condanna per danno erariale: In ambito contabile, come già menzionato, varie pronunce della Corte dei Conti hanno condannato beneficiari di finanziamenti Invitalia. Un esempio è la sentenza n. 329/2020 della Corte dei Conti Abruzzo, che ha condannato un’imprenditrice a risarcire Invitalia di circa €350.000 per un finanziamento agevolato revocato (misura autoimpiego D.Lgs. 185/2000) a causa del “mancato raggiungimento degli obiettivi progettuali e dell’immediata cessazione dell’attività”. In quella vicenda, la beneficiaria aveva chiuso l’impresa poco dopo aver ottenuto i fondi, causando un danno erariale concreto. La Corte ha ritenuto la sua condotta gravemente colposa e l’ha obbligata al pagamento a favore di Invitalia. Analoghi orientamenti si riscontrano in pronunce della Corte dei Conti Campania (es. sent. 293/2019 citata in fonti di stampa, relativa a chiusura anticipata di impresa femminile con contributo non rimborsato). Queste decisioni richiamano l’attenzione sulle responsabilità personali: la dimensione pubblicistica del finanziamento fa sì che, anche oltre il rapporto contrattuale, i beneficiari possano doverne rispondere in sede di giustizia contabile.
  • Cassazione Penale e reati tributari collegati: Da segnalare anche alcune pronunce di Cassazione Penale che, pur non riguardando direttamente ON, toccano temi simili. Ad esempio, Cass. Pen. sez. II n. 20676/2018 ha confermato una condanna per malversazione a carico di un imprenditore che aveva ottenuto contributi pubblici per avviare un’attività ma li aveva utilizzati per finalità estranee, chiudendo poi l’azienda senza restituire nulla: la Cassazione ha ribadito che “il reato di malversazione sussiste anche se parte dell’opera è realizzata, ove vi sia stata distrazione di una quota rilevante delle risorse a scopi non previsti”. Inoltre, sul fronte della truffa aggravata, ci sono varie conferme di condanna dove l’uso di documentazione falsa per ottenere fondi è stato sanzionato anche se la PA si era tardivamente accorta: “non occorre che il danno sia definitivo, basta l’erogazione iniziale” (Cass. pen. 29571/2019).

In sintesi, la giurisprudenza:

  • Ha chiarito i confini procedurali (giudice ordinario vs TAR) in favore del primo quando l’impresa non adempie.
  • Ha tendenzialmente dato ragione a Invitalia nei casi di recupero crediti, mostrando poca indulgenza verso i debitori (es. sugli interessi di mora e sulla validità delle clausole risolutive).
  • Ha colpito duramente i comportamenti opportunistici e fraudolenti, sia in sede penale che contabile, con condanne che fanno giurisprudenza deterrente per altri beneficiari.

Nota: Non risultano, allo stato di aprile 2025, sentenze di legittimità specifiche sul bando ON in sé, essendo relativamente recente (aperto dal 2021). Tuttavia, date le analogie con precedenti misure (es. Autoimprenditorialità DLgs 185/2000, Resto al Sud, Smart&Start), i principi enucleati si applicano per continuità. Inoltre, le disposizioni contrattuali di Invitalia per ON sono state scritte tenendo conto di questa giurisprudenza, per renderle efficaci e sostenibili in giudizio.

Conclusioni e consigli pratici

Il finanziamento ON – Oltre Nuove imprese a tasso zero rappresenta un’importante opportunità di crescita per giovani imprenditori e donne che vogliono avviare una propria impresa. Offre capitale a costo zero e contributi a fondo perduto preziosi, che possono fare la differenza nel trasformare un’idea di business in realtà. Tuttavia, come abbiamo visto, beneficiare di questi fondi comporta responsabilità significative. Il mancato rimborso del finanziamento o la violazione delle condizioni d’uso delle agevolazioni può mettere a serio rischio la sopravvivenza dell’impresa e il patrimonio dei suoi titolari, oltre a esporli a conseguenze giuridiche gravi.

In questa guida abbiamo esaminato dettagliatamente i rischi civili (revoca, risoluzione del contratto e azioni di recupero forzoso), i possibili profili penali (malversazione, truffa ai danni dello Stato, indebita percezione, ecc.), e le responsabilità amministrative e contabili (danno erariale, esclusione da futuri incentivi, sanzioni 231). Dai casi pratici e dalla giurisprudenza emerge un quadro chiaro: lo Stato tutela con fermezza le proprie risorse finanziarie, cercando di recuperare ogni euro erogato se il beneficiario non rispetta gli impegni presi.

Per le startup e imprese femminili che vogliono evitare di incorrere in questi rischi, i consigli pratici fondamentali sono:

  • Progettare in modo realistico e responsabile: chiedere l’agevolazione solo se si ha un piano d’impresa solido e sostenibile. Evitare di sovrastimare le capacità: prendere un finanziamento e poi non riuscire a gestirlo può condurre al default. Meglio un progetto più piccolo ma eseguibile, che uno grande fuori portata (che porterebbe a revoca parziale). Pianificare flussi di cassa tali da coprire le rate future, magari creando un fondo accantonamento durante il progetto.
  • Usare i fondi esclusivamente per le finalità previste: sembra banale, ma è cruciale. Non destinare nemmeno un euro a spese non ammesse. Tenere contabilità separata del progetto, conservare ogni fattura e ricevuta. Se avanzano soldi, restituirli o chiedere rimodulazione del piano: non usarli per altro. Questo non solo evita reati, ma anche contestazioni in sede di rendicontazione. Come sottolineato da consulenti di finanza agevolata, uno degli errori più comuni è l’“utilizzo anche parziale dei fondi per spese non inerenti al progetto”, che comporta “successiva richiesta di restituzione del finanziamento da parte dell’ente finanziatore”. La disciplina di ON lo conferma: spese non autorizzate = revoca sicura.
  • Rispettare le scadenze e gli obblighi di rendicontazione: un altro errore ricorrente è “non rispettare le tempistiche previste, con il rischio di arrivare alla revoca parziale o totale”. Occorre quindi inviare i SAL puntualmente, richiedere eventuali proroghe per tempo (meglio chiedere una proroga che sforare senza dire nulla) e concludere il progetto nei termini. Se ci si accorge che non si farà in tempo, comunicare tempestivamente a Invitalia le difficoltà: a volte possono concedere estensioni o modifiche contrattuali. La trasparenza è apprezzata e può evitare il peggio.
  • Mantenere l’attività in vita per il periodo richiesto: l’impresa dev’essere un progetto di medio-lungo termine, non un “mordi e fuggi”. Pianificare di mantenere attiva la società almeno per la durata del mutuo (10 anni) o comunque per qualche anno dopo il completamento del progetto. Sciogliere o vendere tutto subito è altamente sconsigliato e, come visto, porta alla revoca. Se proprio si vuole dismettere, esplorare soluzioni come la cessione a terzi che subentrino negli obblighi verso Invitalia (non facile, ma possibile in alcuni casi con consenso preventivo).
  • Comunicare ogni variazione significativa e chiedere autorizzazioni: se durante il progetto si rende necessario un cambio di fornitore, una modifica di spesa, l’acquisto di un bene diverso, ecc., inviare a Invitalia una richiesta di nulla osta o almeno informarla. È preferibile un dialogo costante: Invitalia offre servizi di tutoraggio anche per aiutare a evitare errori. Una “scarsa comunicazione con l’ente finanziatore” viene individuata come un problema, mentre mantenere “una comunicazione aperta e trasparente” aiuta a risolvere criticità e interpretare correttamente le regole.
  • Adempiere agli obblighi di pubblicità e normativi: ricordarsi di riportare i contributi in Nota Integrativa di bilancio (art. 1 c.125 L.124/2017) ed adempiere a tutti i doveri accessori (assicurare i beni, presentare DURC regolari per SAL, conservare documenti per controlli futuri, etc.). La non conformità su questi punti (es. mancato rispetto norme sicurezza sul lavoro, o DURC irregolare) può bloccare le erogazioni. Inoltre un DURC non regolare a SAL è causa di revoca di quel SAL per alcune misure. Quindi attenzione alla regolarità contributiva e fiscale durante il periodo di vigenza dell’agevolazione.
  • Se sopraggiungono difficoltà finanziarie, attivarsi subito: se l’impresa prevede di non riuscire a pagare una rata del mutuo, non aspettare di accumulare ritardi. Invitalia, come visto, consente una dilazione di pagamento prima che scatti la revoca (fino a 2 rate), e una rinegoziazione se il ritardo supera 12 mesi. Sono soluzioni una tantum, ma preziose: ad esempio, invece di saltare due rate e finire in revoca, chiedere dopo la prima rata mancata una dilazione spalmando l’importo su un allungamento del piano. Oppure, se la crisi è più profonda, proporre la rinegoziazione allungando la durata (fino a 15 anni totali). L’importante è non restare inerti. Anche la transazione è un’opzione estrema: se l’impresa è già revocata ma ha ancora chance di pagare parzialmente, negoziare un saldo e stralcio può evitare il contenzioso e chiudere la vicenda in modo meno oneroso. Invitalia valuterà la proposta in base ai criteri (almeno 25% del debito offerto, assenza di denunce/indagini, ecc.). Certo, è meglio non arrivare a questo punto, ma sapere che esiste può incoraggiare a trovare un accordo prima di far degenerare la situazione.
  • Agire con onestà e buona fede: al di là delle norme, un consiglio generale è di mantenere un comportamento etico. Non cercare scorciatoie o furbizie nel rapporto con Invitalia. Ogni piccolo vantaggio ottenuto con l’inganno (es. gonfiare una fattura per farsi dare qualche migliaio di euro in più) può trasformarsi in un boomerang enorme, come abbiamo visto. Meglio rinunciare a una parte di contributo se non spetta, piuttosto che rischiare sanzioni. L’ordinamento attuale premia la correttezza e punisce severamente gli abusi.

In conclusione, ON – Oltre Nuove imprese a tasso zero può essere la leva finanziaria che permette a una startup o impresa femminile di nascere e prosperare. Ma occorre considerare il finanziamento per quello che è: un mutuo pubblico da onorare. Bisogna abbandonare l’idea (purtroppo diffusa in passato) che “tanto sono soldi dello Stato, se va male pazienza”: oggi se va male, lo Stato presenta il conto. Ciò non deve spaventare chi ha buone idee e volontà di lavorare, ma deve responsabilizzare: prendere sul serio gli obblighi contrattuali, informarsi bene (magari avvalendosi di un commercialista esperto in incentivi), e gestire l’azienda con la massima diligenza.

Come sottolineano gli esperti, i programmi di finanza agevolata richiedono ormai elevata professionalità e organizzazione da parte dei beneficiari: “stanno diventando sempre più competitivi e richiedono la presentazione di progetti di elevato livello”, e successivamente un’attenta gestione per evitare errori. Conoscere i rischi aiuta a evitarli: questa guida è pensata proprio affinché startup e imprese femminili sappiano a cosa vanno incontro e possano agire per tempo per scongiurare gli esiti peggiori.

In definitiva, finanziarsi a tasso zero è un grande vantaggio, ma “zero interessi” non significa “zero responsabilità”. La miglior tutela contro i rischi è una conduzione consapevole e onesta dell’iniziativa imprenditoriale. Così facendo, l’impresa potrà restituire senza problemi il dovuto nei 10 anni e godere appieno del contributo a fondo perduto come spinta verso il successo, senza mai incorrere nelle gravi conseguenze descritte.

Fonti e riferimenti utili

  • Invitalia – ON “Oltre Nuove Imprese a Tasso Zero” – Pagina informativa ufficiale (descrizione misura, requisiti, modulistica).
  • Ministero delle Imprese (MIMIT) – Scheda tecnica NITO-ON – Dettagli normativi e operativi del bando (ultimo aggiornamento 2024).
  • Normativa di riferimento: Decreto Lgs. 185/2000 Titolo I Capo II; Decreto Interministeriale 4/12/2020 (riordino Nuove Imprese a Tasso Zero); D.M. 24/11/2021 (risorse PNRR per imprese femminili); Circolare MISE 8/4/2021 n.117378 e Circolare 4/5/2022 n.168851 (disposizioni attuative); art. 1 comma 125 L.124/2017 (obbligo pubblicità contributi).
  • Linee Guida Invitalia per crediti in sofferenza (2021, agg. 2025): documento che illustra procedure di Dilazione, Rinegoziazione e Transazione in caso di ritardo o revoca (consultabile sul sito Invitalia).
  • Giurisprudenza – Sezioni Unite Cassazione 2023 n. 19966: principio di riparto giurisdizionale su revoca agevolazioni (beneficiario inadempiente → giudice ordinario).
  • Giurisprudenza – Tribunale Roma 2018: legittimità interessi di mora Invitalia e rigetto eccezione di usura (fonte: Fairplay, Trib. Roma 13/11/2018).
  • Giurisprudenza – Cassazione Penale: varie sentenze su truffa aggravata e malversazione relative a fondi pubblici (es. Cass. SU 2023 n. 9634; Cass. II 20676/2018; Cass. SU 146/2023 sulle fattispecie di revoca).
  • Corte dei Conti – casi di danno erariale: comunicati GdF Salerno 2023-2025 su indebite percezioni (contestato danno erariale 1 mln a 14 imprenditori); sentenze Corte Conti Abruzzo 329/2020 e Campania 293/2019 su revoche per chiusura anticipata (danno erariale per importi minori).
  • Sito Invitalia – Trasparenza agevolazioni: news 12/7/2018 su obbligo pubblicazione contributi e conseguenze (revoca se omissione).
  • Supporto Invitalia: contatti utili (Contact Center Invitalia numero verde 800.775.397) per chiarimenti su obblighi e adempimenti, prima che possano degenerare in inadempimenti.

Finanziamento ON Invitalia Non Rimborsato: Perché Affidarti a Studio Monardo

Hai ottenuto un finanziamento agevolato tramite la misura “ON – Oltre Nuove Imprese a Tasso Zero” di Invitalia, ma ora non riesci più a rispettare le scadenze?

Molti imprenditori e imprenditrici hanno beneficiato di questo incentivo per avviare un’attività, ma si trovano oggi in difficoltà nel restituire le rate previste o nel rispettare le condizioni imposte dal contratto.

Quando i pagamenti saltano, Invitalia può revocare il contributo, chiedere il rimborso integrale delle somme, maggiorate di interessi e sanzioni, e avviare azioni di recupero, anche tramite l’Agenzia delle Entrate Riscossione.

Ma attenzione: non tutto è perduto. È ancora possibile intervenire per difendersi legalmente e salvare il proprio progetto imprenditoriale.

Cosa può fare per te l’Avvocato Monardo

Esamina il contratto e i provvedimenti ricevuti, per verificare la legittimità della revoca o della richiesta di rimborso

Contesta richieste irregolari o sproporzionate, anche in fase precontenziosa

Blocca cartelle esattoriali e azioni esecutive, come fermi amministrativi, pignoramenti o ipoteche

Propone soluzioni sostenibili, come piani di rientro, saldo e stralcio, o – nei casi più gravi – l’accesso alla procedura di esdebitazione

Ti rappresenta nei rapporti con Invitalia, l’Agenzia Entrate Riscossione e gli altri soggetti coinvolti

Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

🔹 Avvocato esperto in contenzioso contro enti pubblici e finanziamenti agevolati
🔹 Gestore della Crisi da Sovraindebitamento, iscritto al Ministero della Giustizia
🔹 Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa, abilitato ex D.L. 118/2021
🔹 Fiduciario di un OCC – Organismo di Composizione della Crisi
🔹 Coordinatore nazionale di legali e consulenti esperti in diritto bancario e agevolazioni pubbliche

Perché agire subito

⏳ Dopo la revoca, hai pochissimo tempo per presentare opposizione o osservazioni
⚠️ Il credito può essere trasferito all’Agenzia delle Entrate Riscossione, con esecuzione forzata
📉 Rischi concreti: pignoramenti, blocco dei conti, fermi amministrativi, segnalazioni bancarie
🔐 Solo con una strategia legale tempestiva puoi intervenire e salvare la tua attività

Conclusione

Non riuscire a rimborsare un finanziamento ON Invitalia non significa essere un cattivo imprenditore, ma senza difesa rischi di perdere tutto.

Affidarsi all’Avvocato Giuseppe Monardo significa difendere il tuo progetto, bloccare le richieste ingiuste e trovare una via legale per ripartire in sicurezza.



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