Questione salari la “casciara” tra partiti e sindacati


In Italia di tanto in tanto si scatena il dibattito sui salari che sono troppo bassi, dopo mesi in cui la questione è rimasta in ghiacciaia, il Primo maggio è stata l’occasione per rispolverarla, il dibattito è sempre fermo lì dove l’avevamo lasciato: contratti collettivi contro salario minimo.

Secondo l’Organizzazione internazionale del lavoro, l’Italia è il Paese del G20 ad aver subito la perdita più marcata in termini di potere d’acquisto dal 2008, con i salari reali diminuiti dell’8,7 per cento.

La contrattazione collettiva da sola non basta a eliminare il lavoro povero. ecco perché si torna a parlare di salario minimo, la questione non è nuova, nel 1954, il leader della Cgil Giuseppe Di Vittorio era stato uno dei firmatari, insieme a Vittorio Foa e Teresa Noce, di una proposta di legge per introdurre un salario minimo legale, ma la Cgil, con Maurizio Landini, per molti anni si è opposta al salario minimo, con le stesse motivazioni usate oggi dalla Cisl, salvo poi cambiare idea.

Oggi ci sono due opposte tifoserie la destra con la Cisl vogliono rafforzare la contrattazione collettiva per alzare i salari; le opposizioni, Cgil e Uil chiedono di introdurre anche un salario minimo legale.

La maggioranza di destra, a fine 2023 affossò la proposta di legge delle opposizioni sul salario minimo a nove euro l’ora, dando la delega al governo di intervenire, entro sei mesi, per costruire un pacchetto di norme per alzare i salari degli italiani, l’idea era  estendere i contratti collettivi più applicati, con incentivi per i rinnovi e con sanzioni in caso di ritardi, dopo un anno e mezzo quella legge delega si trova arenata in Senato e non se n’è fatto nulla.

Ora la Meloni ha chiesto ai parlamentari di sbloccare i lavori, con l’ipotesi di incentivi fiscali per le aziende che rinnovano i contratti entro le scadenze, per non lasciare la battaglia contro il lavoro povero in mano alla Lega, che ha annunciato la presentazione di un suo disegno di legge sui salari, infatti il sottosegretario leghista al Lavoro Claudio Durigon ha lanciato la proposta di una sorta di scala mobile con l’adeguamento automatico dei salari all’inflazione, più un «trattamento economico accessorio» collegato al costo della vita nelle diverse aree del Paese, questo sistema richiama le vecchie “gabbie salariali” abolite nel 1969, Fratelli d’Italia ha espresso contrarietà, nonostante la legge delega del governo propone lo sviluppo dei contratti di secondo livello per far fronte al costo della vita su base territoriale.

I partiti di opposizione, hanno presentato diverse proposte di legge sul salario minimo, dopo l’affossamento del testo a fine 2023, Pd, M5s e Avs hanno presentato una proposta di legge di iniziativa popolare, fermo restando l’applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro, il ddl chiede di introdurre “una soglia minima inderogabile di nove euro all’ora, per tutelare «i settori più fragili e poveri del mondo del lavoro, nei quali è più debole il potere contrattuale delle organizzazioni sindacali».

L’Unione europea, ha emesso una Direttiva sui salari minimi, ed ha indicato due modi per combattere il lavoro povero: una copertura minima dei contratti collettivi nazionali all’80% o l’introduzione del salario minimo.

La maggior parte dei Paesi europei ha il salario minimo, tranne: Danimarca, Svezia, Austria, Finlandia e Italia, tutti con tassi di copertura contrattuale tra i più elevati, Cipro, lo ha introdotto nel 2023, ma la direttiva rischia l’annullamento, dopo che l’Avvocato generale della Corte di giustizia Ue ha dato ragione a un ricorso della Danimarca, sostenuto anche dalla Svezia, definendo la normativa «incompatibile» con il Trattato dell’Unione europea, perché la retribuzione è un tema di competenza esclusiva degli Stati membri.

In Italia, in teoria, non c’è il problema di mancata copertura di contrattazione collettiva, i contratti registrati al Cnel sono oltre mille, resta da capire se i contratti maggiormente utilizzati prevedono trattamenti salariali adeguati, nel famoso caso della vigilanza privata, è intervenuta la magistratura per dire che un contratto collettivo, firmato da Cgil-Cisl-Uil, non è di per sé garanzia di un salario sufficiente.

Il vero problema sono gli enormi ritardi nei rinnovi dei contratti,l’ Istat certifica che a fine marzo 2025 i contratti scaduti e in attesa di rinnovo coinvolgono circa 6,2 milioni di dipendenti, mentre la Banca d’Italia nel suo bollettino riporta che la contrattazione nazionale non sarà in grado di recuperare il potere d’acquisto perso nel 2021.

La questione salariale, fino a poco tempo fa, non ha ricevuto nessuna particolare attenzione neanche da parte dei sindacati, che hanno convocato scioperi generali per le più svariate ragioni, ma mai, frontalmente, per la questione salariale, altri attori invece hanno cominciato a muoversi: la magistratura e gli enti locali, con i dibattiti o con sentenze.

Contrattazione collettiva, e salario minimo possono convivere, servirebbe un dibattito sulle forze e le debolezze del salario minimo e su come possa convivere con il sistema di contrattazione nazionale, ed una commissione di parti sociali ed esperti che  individui cifre e modelli, togliendo la questione salariale alla disputa sindacale e politica.

Servirebbe sperimentare un salario minimo per legge nei settori più deboli e valutare gli impatti economici e quelli sul sistema di relazioni industriali, ci sono settori, che non hanno bisogno, alcuni si, il dibattito è fermo a posizioni preconfezionate che si ripresentano di tanto in tanto come un disco rotto, non basterà una legge a creare lavoro o a far crescere i salari.

I bassi salari italiani dipendono da fattori strutturali: produttività stagnante, scarsa innovazione, piccole imprese, ma  finché non si agisce sul piano istituzionale, non se ne esce, invece, da destra a sinistra, si continua a politicizzare il dibattito, il lavoro è ormai terreno di propaganda per tutti, da un lato Meloni pubblica i suoi video sui social dicendo che i salari e il lavoro crescono, dall’altro la Cgil, per i referendum in programma a giugno, chiede di abrogare pezzi del Jobs Act, legge votata dieci anni fa, non contestata allora, già ampiamente modificata, con il rischio di ritrovarsi una legge ancora più capestre di quella esistente.Alfredo Magnifico





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