Smart working: il datore di lavoro non può geolocalizzare i dipendenti – Artser


Con provvedimento del 13 marzo 2025 diffuso il successivo 8 maggio 2025, il Garante per la protezione dei dati personali ha multato un ente pubblico regionale con una sanzione di 50.000 euro. Il provvedimento è arrivato dopo il reclamo di una dipendente e una segnalazione da parte dell’Ispettorato della Funzione Pubblica.

Dall’indagine è emerso che l’ente monitorava i propri dipendenti per verificare la corrispondenza tra la loro posizione geografica e l’indirizzo dichiarato nell’accordo individuale di smart working.

Questo controllo è stato effettuato anche attraverso specifiche procedure secondo le quali il personale (selezionato in via casuale) veniva contattato telefonicamente dal responsabile dell’unità organizzativa competente, nel rispetto della fascia di reperibilità, ed invitato a

  • attivare la geolocalizzazione del personal computer o dello smartphone assegnati, effettuando una timbratura con un’apposita applicazione, e
  • dichiarare, tramite e-mail, il luogo esatto in cui si trovava fisicamente in quel preciso momento.

A tale richiesta sono seguite verifiche ed eventuali procedimenti disciplinari da parte dell’ente.

Il tutto è avvenuto in assenza di un’idonea base giuridica, ponendosi in contrasto con i principi di “liceità, correttezza e trasparenza” e di un’adeguata informativa, con interferenze nella sfera privata dei dipendenti e numerose violazioni del Regolamento europeo (UE) 2016/679 in materia di protezione dei dati personali e del D.Lgs. 196/2003 così come modificato dal D.Lgs. 101/2018 di adeguamento dell’ordinamento nazionale al Regolamento stesso (“Codice della privacy”).

Ad avviso del Garante, le esigenze di controllo sul rispetto dei doveri di diligenza del lavoratore in smart working non possono essere perseguite, a distanza, mediante strumenti tecnologici che riducono lo spazio di libertà e dignità della persona in modo meccanico e anelastico. Un simile approccio configurerebbe, infatti, un monitoraggio diretto dell’attività del dipendente non consentito dalla Legge n. 300/1970 (Statuto dei Lavoratori) e dal quadro costituzionale.



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