Investire in ricerca, sviluppo e innovazione per evitare la middle technology trap: l’analisi della Corte dei Conti


L’economia italiana si trova di fronte a un bivio strategico. Da un lato, non può pensare a essere competitiva nei confronti dei Paesi che spingono al ribasso sul fronte dei costi; dall’altro, il passo per competere con le economie più avanzate sul piano tecnologico appare ancora lento. Questo scenario delinea i contorni della cosiddetta “middle technology trap”, una stagnazione che colpisce i Paesi incapaci di compiere il salto di qualità verso produzioni ad alto valore aggiunto.

Per scongiurare questo rischio, la via maestra è un investimento massiccio e strutturale in ricerca, sviluppo e innovazione (R&S&I). Il Piano nazionale di ripresa e resilienza interviene proprio in questa arena, configurandosi come uno strumento fondamentale per riorientare il potenziale di crescita del Paese. Un’analisi approfondita della Corte dei conti, contenuta nella sua relazione semestrale pubblicata poche settimane fa, permette di tracciare un bilancio sull’efficacia di questo sforzo, evidenziandone potenzialità e criticità.

Il Pnrr come leva per la produttività

Il Piano ha destinato circa 19 miliardi di euro alle attività di R&S&I, una cifra che rappresenta il 10% delle risorse totali assegnate all’Italia. Si tratta di un’iniezione di capitale senza precedenti, capace di innescare un rafforzamento strutturale delle capacità innovative del sistema-Paese. L’obiettivo non è solo tamponare un ritardo storico, ma gettare le basi per un nuovo paradigma di sviluppo. La strategia del PNRR, come emerge dal documento di analisi, si muove su più fronti: dal potenziamento delle competenze e del capitale umano, attraverso il finanziamento di dottorati e il sostegno ai ricercatori, al rafforzamento della collaborazione tra il mondo accademico e quello imprenditoriale, fino alla creazione di ecosistemi territoriali dell’innovazione.

L’intento è chiaro: creare un ambiente più favorevole alla ricerca, stimolando sia la componente pubblica sia quella privata. Tuttavia questo sforzo, per quanto imponente, non appare di per sé sufficiente a colmare il divario con i partner europei più virtuosi, come la Germania, né tantomeno con i competitor globali. La spesa italiana in R&S&I, soprattutto quella proveniente dal settore privato, rimane contenuta e non ancora focalizzata su quelle tecnologie deep tech che potrebbero garantire un vero vantaggio competitivo. Il PNRR, quindi, si configura come un acceleratore potente, una condizione necessaria ma che richiede di essere inserita in una visione di lungo periodo per dispiegare appieno i suoi effetti.

Un quadro di luci e ombre

L’attuazione degli interventi dedicati a ricerca e innovazione mostra elementi positivi e negativi. Tra i primi rientra il ruolo centrale assegnato alla valorizzazione del capitale umano. Il finanziamento di nuove borse di dottorato, anche in collaborazione con le imprese, e il supporto a giovani ricercatori sono azioni mirate a contrastare la “fuga dei cervelli” e ad arricchire il tessuto produttivo di competenze avanzate. Inoltre si nota un’attenzione verso settori non tradizionali ma ad alto potenziale, come l’economia spaziale e lo sviluppo della filiera dell’idrogeno, che si allineano alle priorità strategiche europee.

La principale criticità, sottolinea il rapporto, riguarda la sostenibilità futura di queste iniziative. Cosa accadrà ai centri nazionali, agli ecosistemi e alle infrastrutture di ricerca create con i fondi del Piano una volta terminato il periodo di finanziamento nel 2026? Il rischio di disperdere il know-how accumulato e di non dare continuità ai progetti avviati è concreto. Manca, ad oggi, una strategia di finanziamento a lungo termine che possa rendere strutturali gli investimenti.

Un’altra debolezza risiede nella frammentazione degli interventi, che potrebbe comprometterne l’efficacia complessiva. Il settore pubblico rimane il destinatario prevalente delle risorse, mentre la spesa privata, pur sostenuta, non sembra ancora orientata con decisione verso gli investimenti a più alta intensità tecnologica, confermando la difficoltà del sistema Italia a uscire dalla trappola della media tecnologia.

La sfida del coordinamento e della visione a lungo termine

Per massimizzare l’impatto dei fondi del PNRR – e trasformare un’opportunità eccezionale in un vantaggio competitivo duraturo – diventa fondamentale il coordinamento tra i diversi interventi e i soggetti coinvolti. Le risorse, seppur ingenti, rischiano la dispersione se non vengono inserite in una cornice strategica unitaria. La relazione della Corte dei conti suggerisce implicitamente la necessità di una cabina di regia forte, capace di orientare gli investimenti, monitorarne l’efficacia e, soprattutto, pianificare il “dopo PNRR”.

La sfida non è solo finanziaria, ma anche culturale e normativa. Occorre creare un ambiente stabilmente favorevole alla ricerca, semplificando la burocrazia, incentivando fiscalmente gli investimenti privati in innovazione e promuovendo una maggiore sinergia tra università e industria. Il Piano ha gettato le fondamenta, costruendo nuove infrastrutture e potenziando il capitale umano. Ora la responsabilità ricade sulla politica e sul sistema-Paese nel suo complesso: costruire su queste fondamenta un edificio solido, capace di resistere nel tempo e di proiettare l’Italia in una nuova fase di sviluppo basata sulla conoscenza. Senza questo impegno, il rischio è che l’enorme sforzo del PNRR si traduca in una fiammata temporanea, senza modificare strutturalmente la traiettoria economica del Paese e lasciandolo esposto alle insidie della stagnazione tecnologica.

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