aumenta il tempo determinato, cala la durata dei contratti

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Secondo il report sul mercato del lavoro in Italia, pubblicato dall’Istat il 25 febbraio 2025, i dati confermano la crescita dell’occupazione nel nostro Paese ma fanno luce anche su un sistema sempre più precario e frammentato. Aumentano infatti i contratti a tempo determinato, cala la durata media degli stessi e oltre 3 milioni di persone è costretta a fare più di un lavoro per arrivare a fine mese.

Aumentano occupati e retribuzioni, ma cresce la precarietà

L’incremento del numero di posizioni lavorative è stato spesso analizzato negli ultimi tempi e presentato come un segnale positivo, ma mettendo insieme più dati, nasconde una realtà meno rassicurante. Partendo dall’indagine Istat, per esempio, emerge che quasi il 20% dei lavoratori ha ricoperto più di una posizione nel corso del 2022 (percentuale in crescita di 2 punti percentuali rispetto al 2021). Questo significa che molti lavoratori si trovano costretti a cambiare impiego frequentemente, passando da un contratto all’altro, senza garanzie di continuità e stabilità economica.

Non solo: la crescita delle posizioni lavorative non ha portato con sé un miglioramento generalizzato delle condizioni salariali. Infatti, è vero che la retribuzione lorda annua per posizione lavorativa è salita a 12.550 euro (+3,3%), ma il valore del primo decile (cioè il 10% delle posizioni lavorative meno retribuite) è calato a 778 euro annui, segnalando una persistenza di lavori poco retribuiti e di durata molto breve.

Sempre più persone costrette a fare più di un lavoro

Un altro aspetto da non sottovalutare quando si parla di lavoro, è che in Italia, nonostante l’aumento delle retribuzioni, oltre 3 milioni di persone si trovano a dover svolgere più di un lavoro perché non riescono a coprire le proprie esigenze economiche con un solo reddito. Questo fenomeno, che secondo l’Istat è ancora in crescita, è accentuato nei settori a bassa retribuzione, dove la difficoltà a mantenere un salario adeguato porta a una necessità di integrare i guadagni.

Infatti, anche se le ore lavorate per posizione sono aumentate, il numero totale di ore per posizione è inferiore ai livelli pre-pandemia, il che porta a una discontinuità nelle ore lavorative. I lavoratori, quindi, si adattano a svolgere più lavori per arrivare a un numero sufficiente di ore da retribuire, colmando le lacune lasciate dalla ridotta offerta di lavoro stabile a tempo pieno.

Meno ore lavorate, più instabilità

A confermare la precarietà del lavoro in Italia, arrivano infine i dati  sul numero totale di ore lavorate. Infatti, sebbene ci sia stato un lieve aumento rispetto al 2021 (+1,7% delle ore lavorate e +2,6% delle ore retribuite), le percentuali rimangono inferiori ai livelli pre-pandemia e in linea con un trend decrescente che dura dal 2014.

Basti pensare che il 10% dei lavoratori con le ore lavorate più basse (ossia chi lavora meno ore in assoluto) ha un totale di 48 ore annue di lavoro. Questo dato è considerato “stabile” rispetto al 2021, ma di fatto è un indicatore della diffusione di contratti di brevissima durata o con orari estremamente ridotti, che non garantiscono un impegno continuativo o a tempo pieno.

La crescente diffusione dei contratti a tempo determinato e la riduzione della loro durata mediana riflettono un mercato del lavoro sempre più frammentato e incerto. E in un contesto in cui la durata dei contratti si accorcia, la quota di lavoratori con più impieghi cresce e le retribuzioni restano basse per una fetta consistente della popolazione, la precarietà si conferma come una delle principali sfide del mercato del lavoro italiano.





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