Caradonna, Presidente ODCEC Milano: «Commercialisti resilienti, useremo bene l’innovazione»

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L’Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili di Milano conta 10.002 iscritti (6.739 uomini e 3.236 donne) ed è guidato da Marcella Caradonna, riconfermata nel 2022 alla presidenza. EcNews le ha rivolto alcune domande sull’evoluzione della categoria nel mercato del lavoro e dei servizi (in Italia e all’estero), nonché sull’impiego delle nuove tecnologie nello svolgimento dell’attività.

 

Presidente Caradonna, come vede il futuro del commercialista dal suo Osservatorio?

Constato come, nel tessuto economico e sociale della nostra Penisola, il commercialista «generalista» stia continuando a svolgere il ruolo di punto di riferimento per famiglie e imprese in un rapporto «intuitu personae» (l’espressione latina che indica le azioni effettuate «avendo riguardo per la persona», ndr). E ritengo che ciò assumerà sempre maggior valore. In un contesto sempre più caratterizzato da incertezza (non soltanto normativa), e dove è sempre più difficile anche comprendere la correttezza delle informazioni che si ricevono, diventa strategico avere un dialogo con un professionista competente che aiuti e supporti nelle decisioni da prendere. A questo tipo di consulenza più di ampio respiro si affiancheranno, come avviene già ora, del resto, colleghi più specializzati, che potranno intervenire, laddove si rendesse necessaria una specifica competenza. Non sono, quindi, per niente d’accordo con chi vede il nostro destino di categoria segnato, con un inevitabile contrazione, oppure parcellizzato in tante specializzazioni. Anzi. Parlare di noi commercialisti come di coloro che si occupano in modo quasi meccanico di fisco e adempimenti, come spesso sta accadendo, è molto riduttivo. E, soprattutto, non corrisponde a verità. Ritengo, infatti, che quel che porta ad essere poco attrattiva la nostra professione non sia il lavoro che conduciamo, bensì il non avere alcuna esclusiva, rispetto ai molti obblighi che ci vengono imposti solo per il fatto di essere iscritti all’Albo. C’è molto da fare, anche attraverso un dialogo con le Istituzioni e con la politica.

 

Qual è la sua ricetta?

Le criticità che ho esposto penso possano essere superate: sono molto ottimista, credo che la nostra professione, anche nell’avvenire, potrà avere un ruolo di rilievo. L’importante, però, è valorizzare chi siamo, concentrandoci sui nostri punti di forza, sulla capacità di esserci per i clienti pure in momenti drammatici come quelli pandemici, dove l’aiuto non è stato soltanto tecnico, ma in molti casi anche psicologico.

 

Qual è il tasso di innovazione dei commercialisti, e come li vede alle prese con l’intelligenza artificiale?

Credo che l’innovazione, oramai, sia in così rapida evoluzione che si fa veramente fatica a stare dietro al cambiamento e a comprendere come si trasformeranno i nostri studi di qui a pochi anni. Tuttavia, sono convinta che abbiamo a disposizione tutta una serie di strumenti che ci aiuteranno a lavorare meglio e, forse, anche a far fronte alla carenza di collaboratori, che è diventata quasi cronica, soprattutto per le mansioni ripetitive che ormai sono considerate poco appetibili da chi si affaccia nel mondo del lavoro. Però, solamente chi ha acquisito le competenze – e ne è davvero padrone – potrà utilizzare al meglio ciò che l’Intelligenza artificiale può e potrà dare. Del resto, in ogni convegno ed incontro sul tema anche illustri esperti della materia sottolineano che, in ogni caso, resta e sarà sempre centrale il ruolo della persona che vi fa ricorso. Noi siamo una categoria di professionisti resilienti. E credo che, come abbiamo già fatto in passato, sapremo cogliere le opportunità che il progresso può fornire.

 

Le donne rappresentano una buona «fetta» della platea dei suoi colleghi: spesso più preparate e laureate in tempi più brevi, rispetto agli uomini, faticano ancora, però, a raggiungere i loro livelli reddituali. Come si potrebbe favorire la crescita delle commercialiste?

Purtroppo, vi è ancora molto da fare in questo ambito, poiché i numeri parlano con chiarezza dello squilibrio che permane nella nostra professione. I cambiamenti culturali richiedono tempo ed impegno, ma credo che siamo sulla giusta strada. Sono stata molto contenta che la nostra legge di riferimento preveda che il Comitato pari opportunità sia un organo elettivo, perché è anche un modo per sottolinearne l’importanza. Il Comitato di Milano ha dato vita a tante iniziative ed è presente in molti tavoli istituzionali che trattano queste tematiche: ciò conferisce entusiasmo anche alle colleghe più giovani, e le invoglia a proseguire anche se, a volte, la strada è più in salita, che per gli uomini della nostra categoria. L’importante è che le commercialiste non si sentano sole e che trovino costantemente contesti che consentano loro di «fare rete». E questo, mi si consenta di dirlo, noi donne riusciamo spesso a realizzarlo molto bene.



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