Meloni promette alle imprese 25 miliardi. E il 17 va alla Casa Bianca

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«Le crisi sono sempre un’occasione», dice la premier rivolta ai rappresentanti delle categorie produttive che ha incontrato ieri, divisi per gruppi specifici, a palazzo Chigi. L’occasione va sfruttata su più fronti e il primo è quello interno. Giorgia Meloni propone a tutti, categorie associazioni degli imprenditori e sindacati, «un nuovo patto per fare fronte comune rispetto alla nuova delicata congiuntura». Obiettivo: «Rendere il sistema economico più produttivo e competitivo».

I convenuti, a partire dal presidente di Confindustria Emanuele Orsini, non vogliono parole ma cifre. La prima urgenza è sapere quali risorse può mettere in campo il governo. La premier snocciola miliardi. Il governo italiano chiederà «una revisione del Pnrr». È già stato fatto nel 2023 e stavolta la rimodulazione punta a recuperare 14 miliardi a sostegno di occupazione ed «efficienza della produttività». Poi c’è la riprogrammazione dei Fondi di coesione: dovrebbe portare in cassa 11 miliardi. Infine il Piano sociale per il Clima dell’Unione stanzia 7 miliardi per l’Italia. Dovrebbero servire a ridurre i costi dell’energia. Le risorse ci sono. I rappresentanti delle categorie sono stati chiamati a consulto per decidere come spenderli al meglio. Tutto però Commissione europea permettendo.

Qui interviene la seconda e altrettanto essenziale «occasione» da cogliere offerta dalla crisi, quella che riguarda non l’Italia ma l’Europa. Bisognerà chiedere l’attivazione di un regime transitorio che permetta gli aiuti di Stato alle aziende, oggi proibiti, e ovviamente la flessibilità su Pnrr e Coesione necessaria perché le cifre snocciolate in precedenza non restino un bel sogno. L’occasione non si ferma qui: «Se l’Europa pensa di sopravvivere a questa fase continuando a far finta di niente o a pretendere di iper-regolamentare tutto non sopravviverà». È il momento di far saltare le norme rigide sul Green Deal che «non erano sostenibili ieri e a maggior ragione oggi» e l’eccesso di regole che a conti fatti sono anch’esse «dazi autoimposti». Del bersaglio grosso, il patto di stabilità, Meloni non parla. Provvede il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani, cauto ma chiaro: «Il Patto può essere rivisto in caso di emergenza. Non abbiamo fatto proposte ufficiali ma se ne parlerà con i commissari competenti».

Approfittiamo per togliere qui i dazi che ci siamo autoimposti. Penso alle regole ideologiche e non sostenibili del Green deal Giorgia Meloni

La premier ripete quasi parola per parola le valutazioni già esposte nei giorni scorsi: l’impatto dei dazi americani è serio ma riguarda solo una porzione dell’export italiano. È vero però che bisogna tener conto di altri fattori, l’impatto indiretto come quello sulla produzione tedesca, fortemente interconnessa a quella italiana, e il rischio di un’invasione della produzione cinese tagliata fuori dai mercati Usa, minaccia sulla quale vigilerà una task force europea. Ma la parola d’ordine resta «Niente panico»: per Giorgia Meloni è una minaccia persino più letale dei dazi in sé.

Di sfuggita, ma non certo per distrazione, la premier pronuncia alcune parole particolarmente eloquenti: «La posizione della Ue è propedeutica a una trattativa non escalatoria. Se la posizione fosse stata quella dell’escalation l’Italia non la avrebbe supportata». È una frase che fa il paio con quella di Tajani: «Mi auguro che non si usi nessun bazooka. Dobbiamo lavorare per trovare un accordo con gli Stati uniti». Il paragone con i toni usati del presidente francese Emmanuel Macron, «l’obiettivo è che Trump torni sui suoi passi», dice tutto sulla distanza tra l’approccio dei duri come Francia e Germania e quello delle colombe, stormo guidato proprio dall’Italia.

Dove penderà la bilancia dipenderà in parte dalla missione di Meloni a Washington, fissata non per il 16 ma per il 17 aprile. La premier sarà in veste di rappresentante dell’Europa più che dell’Italia. Tajani ne descrive il compito come quello di «facilitatore» della trattativa in capo alla Commissione. L’obiettivo, riassunto due giorni fa da Meloni con la formula «zero a zero» e concordato con la Commissione europea, è l’abbattimento bilaterale di ogni dazio. Va da sé che la trattativa, se partirà e non è affatto certo, si allargherà alle richieste di acquisti massicci di merci americane: soprattutto armi e gas liquido. Non sarebbe comunque un negoziato facile. Ma se non partirà sarà il bazooka di Macron a tornare in primo piano.



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