I tagli Usa alla ricerca un’occasione per l’Europa

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La nuova politica economica americana è come una moneta: su una faccia ci sono i dazi, sull’altra i tagli di spesa. Tutti si sono preoccupati, giustamente, dei dazi e così hanno trascurato i tagli. La riduzione della spesa federale si è abbattuta su molti settori, ma sicuramente dove provoca maggiori contraccolpi a livello mondiale è il comparto della ricerca.

Da lungo tempo i giovani più brillanti del mondo vanno a studiare negli Stati Uniti. Moltissimi hanno riportato a casa le conoscenze acquisite e quelli che si sono fermati hanno consentito di far eccellere la loro nuova patria non solo rendendo ancora più attraenti le università, ma facendone la culla dell’innovazione, così costruendo l’economia più avanzata del mondo. Lesinare finanziamenti alla ricerca significa in prospettiva abbandonare la posizione di primato fino ad oggi detenuta. Significa avviarsi a far perdere il primato intellettuale dell’Occidente. E perdere il primato intellettuale comporta anche l’abbandono di un modello di civiltà che, malgrado tutto, è ancora oggi per noi irrinunciabile.

Dazi, pc e cellulari esentati: l’indiscrezione di Bloomberg. Pechino: «Discriminazioni gravi per Paesi in via di sviluppo»

Illudersi che sia sufficiente risolvere il problema affidandosi alle sole risorse private non tiene conto del fatto che è la ricerca di base che permette di formare i ricercatori e di arrivare alle grandi scoperte; altrimenti si fa solo l’interesse di qualche settore industriale. Se dunque la ricerca non può dipendere da altro che da un mix di interventi pubbl Se dunque la ricerca non può dipendere da altro che da un mix di interventi pubb ici e privati, come ci aveva dimostrato l’America, oggi si apre per l’Europa un’opportunità storica, quella di diventarne leader mondiale. Per questo fine è indispensabile una politica comune europea, ma, in ogni caso, ciascun paese deve essere libero di perseguire l’approccio che ritiene più efficiente per massimizzare l’effetto positivo della sua spesa pubblica.

Non a caso, il ministro dell’Università, Bernini, si è premurata a rassicurare i nostri giovani che, differentemente da quanto sta avvenendo in America, esiste già uno stanziamento di bilancio, peraltro di entità importante, che è destinato ad essere aumentato nel breve periodo. Non si può che gioirne.
Già esistono le norme per il rientro dei cervelli. Si tratta di agevolazioni fiscali importanti, che tuttavia andrebbero potenziate e che ben potrebbero essere affiancate anche da sgravi per le imprese che li assumeranno. In questo modo, si otterrebbe l’ulteriore effetto positivo di legare in modo indissolubile le politiche industriale e la ricerca.
Ancor prima di recuperare chi viene dall’estero, dobbiamo però indirizzare gli sforzi per mantenere in Italia i nostri ragazzi. Far laureare un giovane in un’università pubblica italiana costa a tutti i contribuenti. Se questo giovane poi se ne va all’estero sono soldi regalati ad altri paesi: Trump lo ha considerato nella sua partita doppia quando parla dei parassiti?

Le risorse

Comunque, dato che come sempre le risorse sono scarse, occorre in primo luogo organizzare tutti gli interventi che già esistono a vario titolo nel bilancio pubblico per indirizzarli all’unica finalità del potenziamento della ricerca. Ma non basta. Va adottato anche un diverso approccio, che consenta di attuare misure collaterali per rendere molto più dinamica di oggi la nostra realtà culturale ed economica e attrarre sempre di più i giovani al territorio di origine.
Lo strumento del prestito d’onore, che già esiste nel nostro paese, potrebbe essere potenziato, calibrato alle diverse realtà in cui si applica ed utilizzato per coprire non solo il costo dei corsi e delle spese di mantenimento dei giovani allo studio, ma estendendolo anche alla prima fase del loro inserimento nel mondo del lavoro. Si pensi solo al problema dell’abitazione. Ne risulterebbe così agevolata l’integrazione, oggi spesso difficile, nel tessuto produttivo nazionale. Scongiurare il rischio di perdere la nostra unica e vera miniera d’oro sarebbe la migliore risposta alle nuove politiche d’Oltreoceano.





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