condannata per casua ansia a vicina

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Ansia cronica: condannata a risarcire la vicina con 10mila euro perché camminava coi tacchi in casa. Lo ha stabilito una recente sentenza del Tribunale di Firenze, scopriamone tutti i dettagli.


Una vicenda giudiziaria legata a disturbi da rumore si è conclusa con una condanna risarcitoria significativa: una residente di Sesto Fiorentino è stata ritenuta civilmente responsabile per aver provocato uno stato di ansia cronica alla propria vicina a causa del persistente rumore di tacchi e altri oggetti caduti sul pavimento.

Tutto è iniziato nel 2018, quando l’autrice delle immissioni sonore ha effettuato una ristrutturazione all’interno del proprio appartamento, optando per un rivestimento in gres porcellanato, materiale noto per la scarsa capacità di assorbire i suoni. L’assenza di adeguato isolamento acustico ha reso il camminare con i tacchi un fattore di disturbo costante per l’inquilina del piano inferiore.

Camminava coi tacchi in casa: condannata per aver causato ansia alla vicina

Già prima della decisione definitiva, il Tribunale aveva imposto alla responsabile del rumore l’immediata adozione di misure correttive, come l’uso di tappeti e moquette, per attenuare il calpestio e ridurre l’impatto acustico sull’ambiente circostante. In risposta, la donna ha coperto il pavimento con ben diciassette tappeti, ma i giudici non hanno ritenuto sufficiente l’intervento.

Nonostante la difesa della convenuta abbia attribuito i rumori a difetti strutturali dell’edificio, il Tribunale ha evidenziato nella sentenza l’inadeguatezza delle soluzioni adottate per limitare le molestie.

Il risultato? Una condanna a pagare un risarcimento di 10.000 euro, una cifra comunque inferiore rispetto ai 26.000 richiesti dalla parte lesa.

Le basi giuridiche del risarcimento per rumori molesti

In casi come questo, il riferimento normativo principale è costituito dall’art. 844 c.c., che disciplina le immissioni acustiche e le interferenze tra proprietà confinanti. La norma stabilisce che i rumori provenienti da un’abitazione non devono superare la soglia della “normale tollerabilità”, concetto valutato caso per caso in base all’intensità, alla durata e alla frequenza delle emissioni sonore, nonché alla condizione dei luoghi.

Quando tale limite risulta oltrepassato, anche in assenza di dolo, si può agire in giudizio per ottenere il risarcimento dei danni, soprattutto se le immissioni determinano un pregiudizio concreto alla qualità della vita o alla salute psicofisica.

La giurisprudenza ha più volte riconosciuto che, se il rumore provoca disturbi alla quiete domestica e genera patologie documentabili, come stati d’ansia o stress, si configura un danno risarcibile.



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