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Ridurre le emissioni legate alla mobilità privata è necessario per tutelare la salute dei cittadini. L’obiettivo non è in contrasto con il recupero di competitività dell’industria europea dell’auto. Anzi, potrebbe rafforzare tutta la filiera.
Come va il mercato dell’elettrico
A maggio il Parlamento europeo ha deciso di rimandare le multe sulle emissioni di CO2 delle auto previste nel 2025 per i costruttori europei. Abbiamo analizzato gli effetti immediati di questa scelta in un altro articolo. Ci sono però anche conseguenze di più lungo termine che non solo potrebbero mettere a repentaglio l’obiettivo della mobilità a zero emissioni nel 2035, ma potrebbero avere un impatto sulla competitività dell’industria europea.
Il rinvio delle multe è stato ottenuto dai costruttori europei sulla base del fatto che, a loro avviso, le quote di mercato dei veicoli a basse emissioni sono cresciute meno del previsto. Con lo slittamento delle sanzioni è però verosimile attendersi ritmi ancora più lenti di crescita del mercato dei veicoli elettrici. In altri termini, l’abolizione delle penalità nel 2025 e lo spostamento del calcolo sullo sforamento nel triennio 2025-2027 al 2028 permette ai produttori auto di limitare l’offerta di prodotti elettrici, mantenere un mercato elettrico sottosviluppato in Europa rispetto a quanto si sarebbe potuto fare se fossero entrati in vigore incentivi e penalità dal 2025 e sfruttare ancora per qualche tempo i maggiori margini garantiti dalle vendite di auto endotermiche.
Nell’immediato peggioreranno la qualità dell’aria e i livelli di emissione di CO2. Ma soprattutto si rafforzerà un equivoco di fondo, quello secondo cui la trasformazione del settore sarebbe da rallentare perché il consumatore rifiuta l’auto elettrica.
La storia dell’industria mostra che l’innovazione tecnologica ha sempre “spinto” la direzione che il mercato ha poi intrapreso (si pensi alla crescita esponenziale del diesel dopo l’introduzione del common rail). Nell’ambito del nuovo paradigma tecnologico, le preferenze del consumatore hanno poi deciso “vinti” e “vincitori”.
Il caso dell’elettrico non dovrebbe fare eccezione. La naturale e fisiologica dinamica di sviluppo e penetrazione delle auto elettriche si basa sul graduale aumento nel portafoglio prodotti di veicoli a zero emissioni e sul miglioramento delle loro performance tecnologiche e, dunque, sul graduale aumento delle quote di mercato, fino ad arrivare al phase-out del motore endotermico previsto per il 2035. Come avvenuto in passato per altre tecnologie, la propensione all’acquisto di veicoli elettrici da parte dei cittadini è, infatti, funzione diretta della disponibilità degli stessi sul mercato. Invertire l’ordine dei fattori attribuendo al consumatore le ragioni del rallentamento del mercato si basa su una rappresentazione distorta di quanto l’elettrico dovrebbe vendere oggi (non molto di più di quanto in effetti vende) e di una sottovalutazione di quanto pesi oggi la carenza di prodotto sulle fasce di mercato più popolari, soprattutto in Italia e nei paesi dell’Europa del Sud. Questi prodotti arriveranno nei prossimi anni e con essi si potrà completare la transizione. Nel frattempo, fino al 2035, i clienti che preferiranno comprare auto con motore endotermico potranno continuare a farlo.
Gli obiettivi del Green Deal
Non si può quindi escludere che l’emendamento votato l’8 maggio sulle multe a partire dal 2025 sia il primo passo sull’agenda di alcuni costruttori europei per rallentare il processo di decarbonizzazione e continuare lo sfruttamento di tecnologie ormai obsolete ma estremamente redditizie. L’emendamento, infatti, porta con sé un inerente rallentamento di mercato della mobilità pulita, che rischia di sfociare in nuove richieste future di ritrattare le penalità, come è stato fatto ora, sulla base di argomenti di competitività e mercato. Ma non solo. Ancora più pericoloso è l’indebolimento del quadro normativo, che potrebbe compromettere l’intera tabella di marcia verso l’obiettivo di zero emissioni al 2035, sulla base del presunto ritardo dell’elettrico. È un rischio reale, perché per la legge europea sul cosiddetto phase-out del motore endotermico al 2035 è prevista una revisione nel 2026. Un orizzonte temporale che qualcuno vorrebbe accorciare anticipandola al 2025, quando i costruttori europei potrebbero riproporre l’idea che la crescita del mercato dell’elettrico sia insufficiente per giustificare il mantenimento del phase-out così com’è.
A rendere ancora più problematica la situazione sono gli ultimi standard sulle emissioni inquinanti dei veicoli endotermici – Euro 7 – adottati in Europa nel 2024 e che saranno attivi dal 2026. Non prevedono riduzioni delle emissioni allo scarico dei veicoli passeggeri, che per l’Euro 7 sono identiche all’Euro 6, su richiesta dei produttori auto e sulla base del fatto che questi veicoli non si sarebbero più potuti vendere a partire dal 2035. Se questo scenario dovesse cambiare permettendo la vendita di veicoli con motori endotermici anche oltre il 2035, lo standard delle emissioni Euro 6/7 avrebbe una longevità non prevista, mettendo a rischio gli obiettivi del Green Deal e dell’Accordo di Parigi, ed esponendo i cittadini europei a gravi rischi per la salute a causa delle emissioni di polveri sottili e altri inquinanti.
La chimera della “neutralità tecnologica”
L’idea che ci possa essere spazio per una traiettoria tecnologica alternativa all’elettrico per la mobilità privata è portata avanti dai sostenitori del principio della “neutralità tecnologica”. Secondo questa scuola di pensiero, con l’obiettivo della decarbonizzazione, il legislatore europeo avrebbe imposto l’elettrico all’industria e ciò rappresenterebbe addirittura un “suicidio industriale” per l’Europa. È davvero così?
Vale la pena ribadire alcuni punti, per provare a voltare pagina, anche sul piano del linguaggio.
Primo, il regolamento del 2019 che nel 2023 ha fissato il phase-out dei motori endotermici al 2035, identifica il vincolo di zero emissioni allo scarico, ma non detta la tecnologia per raggiungere il risultato.
Secondo, la decarbonizzazione è un’esigenza cogente e immediata. L’industria dell’auto deve ancora fare la sua parte perché le statistiche mostrano che la riduzione di CO2 avviene secondo i programmi in tutti i settori tranne che nei trasporti, sui quali la mobilità privata ha un peso predominante.
Terzo, se oggi l’elettrico è la principale tecnologia che può garantire l’obiettivo di decarbonizzare la mobilità privataè perché è quella intorno alla quale esiste un ecosistema di business con una chiara traiettoria di sviluppo. Ci sono state ricerche e investimenti ingenti, che hanno dimostrato che questa tecnologia funziona meglio delle altre.
Non c’è l’imposizione di una singola tecnologia da parte del regolatore europeo, anzi è chiaro che in altri segmenti della mobilità (trasporto pesante, aereo, navale) soluzioni come l’idrogeno, i carburanti sintetici e i biocarburanti avranno certamente spazio. Ma confondere l’opinione pubblica con argomentazioni false e fuorvianti sull’applicazione di queste tecnologie per la mobilità privata produce un danno notevole a tutti gli attori dell’automotive.
Quarto, il declino dell’industria europea e italiana dell’auto ha radici nelle scelte fatte agli inizi del 2000. Ipotizzare che sia la conseguenza delle decisioni del legislatore europeo nel 2023 non coglie la natura del problema e quindi porta a soluzioni sbagliate, ad esempio, quella di rallentare la trasformazione nella direzione segnata dal Green Deal. Troppo spesso dimentichiamo che gli obiettivi posti a partire dal 2019 sono stati condivisi da importanti produttori europei, per molti versi consapevoli che gran parte delle conseguenze negative si sarebbero reificate sulla filiera di fornitura, ma che hanno assecondato il cambiamento per ragioni di opportunità politica ed economica.
In estrema sintesi, il divario competitivo che si è accumulato soprattutto verso il blocco asiatico è dovuto a cinque fattori: 1) ritardo dello sviluppo dell’intera filiera dell’elettrico, 2) ritardo nello sviluppo della tecnologia software e dell’elettronica, 3) mancati investimenti nell’automazione di processo e 4) nella capacità organizzativa nello sviluppare rapidamente nuovi processi e nuovi prodotti. Molti produttori europei erano consapevoli delle novità tecnologiche e organizzative in arrivo e avevano le competenze brevettuali, le risorse economiche e il tempo per farle proprie, ma non hanno investito abbastanza e il risultato è stata la perdita di quote significative in mercati una volta dominati.
Un cambio di passo sul Green Deal
Il quinto fattore chiama in causa la politica europea: ha gravi responsabilità perché ha fissato gli obiettivi di decarbonizzazione e poi ha fatto troppo poco per creare le condizioni industriali necessarie al loro raggiungimento. Non esistono soluzioni facili, ma è ora indispensabile che gli stati nazionali e l’Europa agiscano velocemente per accelerare su questo fronte, fungendo da catalizzatori e non sostituendosi agli investimenti privati. Ambiente, salute dei cittadini e competitività industriale non aspettano e già troppo tempo è stato speso in una situazione di stallo degli investimenti.
Guardando al bicchiere mezzo pieno, va detto che le traiettorie tecnologiche e industriali per conciliare clima, industria e lavoro emergono in modo chiaro dalle ricerche di esperti dell’industria automotive italiana, europea e internazionale. Sono traiettorie condivise anche da una parte significativa e crescente degli addetti ai lavori e degli imprenditori che investono in innovazione e che credono nella possibilità di ripresa, consapevoli che la trasformazione sia inevitabile e irreversibile.
La politica degli stati e delle istituzioni europee avrà la lungimiranza di comprendere che mai come in questo momento storico l’attenzione alla salute dei cittadini europei e all’ambiente, il rafforzamento della democrazia economica e la competitività dell’industria dell’auto europea vanno di pari passo con il Green Deal e necessitano di un nuovo patto di coesione?
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