Il business delle agromafie vale oltre 25 miliardi di euro. Raddoppiati gli affari nell’ultimo decennio

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I numeri del nuovo rapporto Coldiretti, Eurispes e Fondazione osservatorio agromafie. Tra i reati principali caporalato, falsificazione di prodotti alimentari e usura

Volendo fare un paragone, si potrebbe dire che il business delle agromafie vale quanto la ricchezza che ogni anno produce l’Umbria: oltre 25 miliardi di euro. I numeri sono dell’ottavo rapporto di Coldiretti, Eurispes e Fondazione osservatorio agromafie presentato questa mattina, 20 maggio, a Roma. Ed evidenziano come nel giro di un decennio il giro d’affari sia raddoppiato, recuperando in breve tempo il terreno perso con il Covid. Non solo: le agromafie stanno estendendo la propria azione a sempre nuovi ambiti, dal caporalato – che ora si fa sempre più transnazionale anche con il “trucco” delle imprese “senza terra” – alla falsificazione di prodotti alimentari fino all’usura e al cybercrime.

Caporalato e intermediazione della manodopera

Quello agroalimentare, con i suoi 620 miliardi di euro di valore (considerata tutta la filiera) e un export da circa 70 miliardi, è un settore attrattivo per la criminalità organizzata. Il caporalato continua a essere una piaga che strozza un ambito che si appoggia, spesso sfruttandoli, a lavoratori immigrati e con pochi diritti. Una delle novità rilevanti emerse dal rapporto è la nascita di agenzie di intermediazione della manodopera, spesso gestite da organizzazioni transnazionali che, sfruttando anche provvedimenti come i decreti flussi, organizzano l’arrivo di lavoratori (spesso dal subcontinente indiano, soprattutto India e Pakistan) in cambio di somme di denaro.

Credito illegale e acquisizione (facile) di aziende

Non solo. Le mafie sono attive anche nel credito illegale – la loro immensa liquidità è un enorme vantaggio competitivo rispetto ai normali circuiti di finanziamento – e nell’acquisizione facile di aziende in crisi grazie a cui riciclare i propri proventi illeciti. In questo senso, le crisi internazionali che si riversano sul settore sono tra le più grandi “alleate” delle agromafie che si impongono sullo stato di necessità di aziende sane dovuto alle crescenti difficoltà finanziarie di chi opera nel settore agroalimentare. Le infiltrazioni mafiose nel settore si estendono poi anche alla ristorazione, mercati ortofrutticoli e grande distribuzione, senza risparmiare vere e proprie frodi alimentari, con prodotti adulterati o senza etichetta, spesso venduti nei discount.

Il ruolo della Grande distribuzione organizzata

“La crisi internazionale e i cambiamenti climatici stanno mettendo in crisi la filiera agroalimentare, che appare sbilanciata a favore della distribuzione e penalizza i produttori – ha spiegato il presidente di Eurispes, Giovanni Maria Fara –. Molte aziende agricole, pur operando nel contesto del successo del Made in Italy, faticano a sostenere l’aumento dei costi, la riduzione delle rese, i prezzi imposti dalla Grande distribuzione organizzata e la difficolta’ di accesso al credito”. E le mafie, ha aggiunto, grazie alla loro quasi sconfinata liquidità “offrono prestiti usurari o acquistano aziende agricole in difficolta’, seguendo un modello simile al ‘land grabbing’. Questa nuova strategia punta direttamente alla terra e alla produzione primaria, ampliando il controllo lungo tutta la filiera: dalla produzione ai fondi pubblici, fino alla manodopera sfruttata”. A sua volta il segretario generale di Coldiretti, Vincenzo Gesmundo, sottolinea che per l’organizzazione datoriale la filiera agroalimentare “parte dal lavoratore agricolo e arriva al consumatore: difenderla dalle mafie significa anche garantire il giusto prezzo lungo tutto il percorso. Se i consumatori comprano prodotti a prezzi stracciati, e se settori deviati della Grande distribuzione organizzata o dell’industria acquistano e vendono sottocosto, quel sottocosto qualcuno lo paga, e sono quasi sempre gli agricoltori e i lavoratori agricoli”.



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