Leggere la demografia per capire l’economia: a cosa servono i dati Istat

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(Adnkronos) – L’appuntamento annuale con il Rapporto Istat fornisce una mole di dati importante. Sia dal punto di vista quantitativo sia dal punto di vista qualitativo. E’ una rappresentazione capillare dei movimenti, dei trend e delle tendenze che segnano l’evoluzione del Paese. Una delle chiavi di lettura significative è quella che lega l’analisi della demografia all’andamento dell’economia. In questo senso, i dati aiutano a capire dove stiamo andando e non solo dove siamo arrivati, cosa è successo finora. Le conseguenze per il tessuto produttivo, per le imprese e per il lavoro, si legano all’evoluzione del tessuto sociale e della sua composizione.  Ci sono diversi passaggi del rapporto che mettono in relazione diretta la causa demografica e l’effetto economico. Partendo dalla premessa che la dinamica demografica e sociale dell’Italia “continua a riflettere trasformazioni profonde, che attraversano generazioni, territori e gruppi sociali. La popolazione residente è in costante calo, spinta da una dinamica naturale fortemente negativa, solo parzialmente compensata da un saldo migratorio positivo”. Un primo effetto concreto si riflette sulle abitudini di vita e sui consumi. I cambiamenti demografici “si intrecciano con quelli familiari”. Le famiglie “diventano sempre più piccole: cresce il numero di persone che vivono da sole, aumentano le libere unioni, le famiglie monogenitore e quelle ricostituite, mentre si riduce la presenza dei nuclei familiari con figli”. Tutto questo incide sulla forza lavoro, sulla capacità di spesa, sulla distribuzione del reddito.  L’invecchiamento della popolazione ha conseguenze economiche e sociali che presentano rischi ma anche opportunità. “L’aumento straordinario della sopravvivenza ha trasformato radicalmente la struttura della popolazione italiana, dando origine a una società in cui oggi convivono più a lungo diverse generazioni. I loro percorsi di vita hanno contribuito a ridefinire il contesto demografico, sociale ed economico del Paese. Osservarne l’evoluzione della struttura e dei comportamenti significa cogliere i cambiamenti in atto, ma anche programmare in modo più efficace gli interventi necessari per gestire meglio le possibili traiettorie e criticità future”.  Per comprendere le esigenze di una popolazione che invecchia ma che, al contempo, chiede nuove opportunità, “è indispensabile adottare il punto di vista generazionale”. Questo, perché “l’allungamento della vita in buona salute, gli stili di vita più salutari – sana alimentazione, pratica di attività fisica, evitare di fumare o di eccedere nel consumo di bevande alcoliche – e il maggiore livello di istruzione hanno ampliato gli orizzonti delle generazioni, ma anche introdotto nuove sfide e disuguaglianze: vivere a lungo non è uguale ovunque, né per tutti. Se da un lato aumentano gli anni vissuti in autonomia, dall’altro persistono forti divari territoriali e socioeconomici”.   L’invecchiamento della forza lavoro, da una parte, e il rafforzamento del capitale umano, dall’altra, “hanno inciso in modo differenziato sul sistema produttivo”. Le imprese con giovani qualificati “hanno maggior successo economico, mentre il ricambio generazionale costituisce un problema per quelle più piccole e meno efficienti”. Entrando più nel dettaglio, i dati aiutano a spiegare perché. Tra il 2011 e il 2022 è quasi raddoppiata l’incidenza dei lavoratori di 55 anni e più in rapporto a quelli con meno di 35 anni, da uno su due a un rapporto quasi paritario.  Le imprese a rischio di mancato ricambio generazionale (dove il rapporto tra addetti di 55 anni e più e di meno di 35 anni è superiore a 1,5) sono il 30,2 per cento. Tuttavia, “questa condizione di criticità è fortemente concentrata nelle imprese con meno di tre addetti (caratteristiche di molte attività dei servizi e in cui l’occupazione coincide in gran parte con l’autoimpiego).  Il capitale umano giovane “risulta un fattore chiave per la digitalizzazione e la crescita: l’aumento di un punto nella quota di giovani (sotto i 35 anni) sul totale degli addetti laureati ha migliorato di oltre un punto percentuale la probabilità di successo nell’adozione delle tecnologie prima della crisi pandemica e il livello dell’occupazione e del fatturato nel periodo 2018-2022”. (Di Fabio Insenga)   —economiawebinfo@adnkronos.com (Web Info)



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