L’export italiano cambia rotta per superare la barriera dei dazi

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Se l’export italiano ha puntato storicamente soprattutto verso Paesi come la Germania, la Francia e gli Stati Uniti, in futuro sempre più container potrebbero prendere la via di Vietnam, India o Arabia Saudita. Il rischio di un inasprimento dei dazi negli Usa, le difficoltà dell’economia tedesca, l’aumento dei costi produttivi e la crescente complessità delle filiere stanno spingendo molte aziende a ripensare le proprie traiettorie internazionali, esplorando nuove rotte. Un orientamento favorito anche dall’evoluzione dei consumi globali, con classi medie in espansione e nuove aree in forte urbanizzazione che generano una domanda crescente di beni e servizi made in Italy. Per molte aziende italiane, diversificare non è solo una scelta economica, ma una condizione di sopravvivenza.

Lo scorso anno il Pil italiano è cresciuto dello 0,7%, sostenuto soprattutto da agricoltura e industria, ma il quadro resta fragile. Secondo il rapporto Istat 2025 sulla Competitività dei Settori Produttivi, il fatturato industriale ha chiuso l’anno in calo del 3,4%, con una domanda interna ancora debole (meno 3,8%). La contrazione ha colpito la maggior parte dei comparti manifatturieri (meno 3,5% complessivo), fatta eccezione per alcuni settori in controtendenza come la farmaceutica, le bevande e la manutenzione di macchinari. A pesare è anche l’erosione della domanda estera: nel 2024 l’export ha registrato un meno 0,5% annuo, a dispetto della ripresa del commercio globale (più 3,4%).

Germania, Stati Uniti e Francia continuano ad assorbire oltre un terzo dell’export italiano ed è qui che si annidano le maggiori vulnerabilità: il tema dei dazi Usa e la stagnazione tedesca alimentano l’incertezza per settori strategici come meccanica, automotive, agroalimentare e moda. L’Italia mantiene un solido surplus verso gli Stati Uniti (34,7 miliardi di euro), ma proprio questo la espone ai rischi di un’instabilità geopolitica crescente.

Le imprese più vulnerabili all’export sono solo lo 0,5% del totale, ma sono cruciali per l’economia nazionale: generano il 16,5% dell’intero export e operano in comparti ad alto valore aggiunto come autoveicoli, macchinari, pelle e gioielleria. Le filiere più esposte comprendono aerospazio, energia, trasporto marittimo e raffinazione. In questo contesto, diversificare diventa una necessità. Secondo un sondaggio realizzato dal Centro Studi Tagliacarne, sette imprese italiane su dieci si stanno preparando ad affrontare le possibili conseguenze derivanti dall’introduzione di nuovi dazi da parte degli Stati Uniti. Tra le soluzioni adottate, il 33% delle aziende prevede di aumentare i prezzi di vendita per compensare i costi aggiuntivi, il 25% punta all’espansione nei mercati Ue e il 18% verso nuovi mercati extra-Ue. Solo il 3% valuta il trasferimento della produzione negli Usa.

Grafico a cura di Silvano Di Meo 

Per affrontare questa nuova fase, il governo ha lanciato il Piano d’Azione per l’Export nei mercati extra-Ue ad alto potenziale. L’obiettivo è chiaro: diversificare le destinazioni, sostenendo l’internazionalizzazione delle imprese italiane – in particolare le Pmi – attraverso strumenti finanziari, missioni istituzionali, accordi con catene distributive internazionali e supporto fieristico. I mercati target includono Africa, Asia-Pacifico, America Latina e Balcani occidentali, con un focus particolare su India, Vietnam, Emirati Arabi e Messico. Si tratta di un’azione coordinata tra Farnesina, Ice, Sace, Simest e Cdp che punta a accompagnare le imprese nei nuovi scenari globali, con l’obiettivo di raggiungere 700 miliardi di euro di export entro la fine della legislatura. Sace stima in 85 miliardi di euro il potenziale di export italiano in mercati strategici come Asean (Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico), Medio Oriente, America Latina e Africa. Tra i Paesi africani, Algeria, Angola e Tanzania, secondo Sace, offrono grandi opportunità nei settori infrastrutture, agroalimentare, energia e sanità. Tanto da aver spinto la società a mettere in atto una push strategy in Tanzania per favorire l’export italiano verso mercati emergenti. Nell’ambito di questa strategia, Sace ha finanziato il gruppo Metl (Mohammed Enterprises Tanzania Limited), uno dei più grandi conglomerati africani, attivo in vari settori come agricoltura, food, tessile e distribuzione. In cambio di questo sostegno, Metl si impegna a valutare e coinvolgere fornitori italiani nelle proprie attività e investimenti, creando occasioni concrete di business matching tra imprese italiane e africane.

Nel frattempo, già molte realtà industriali iniziano a guardare verso l’America centro-meridionale, considerata come una soluzione logisticamente vantaggiosa rispetto al mercato statunitense. A questo target di imprese guarda Simest che ha lanciato un finanziamento agevolato per investimenti produttivi, digitali e green in Centro e Sud America. Lo strumento ha durata massima di sei anni, tasso agevolato dello 0,4% e quota a fondo perduto dal 10% al 20%, a seconda della regione. Le risorse possono coprire investimenti in loco e spese di formazione. Tra i beneficiari rientrano Pmi, startup e imprese innovative che realizzino almeno il 30% dell’investimento in Centro o Sud America, o che generino il 5% del fatturato da export in quell’area o, ancora, che abbiano rapporti commerciali con aziende italiane attive nel continente.



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