Contributi europei a fondo perduto per l’agricoltura, ma non possiede neanche un ettaro di terreno: condannata

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La Corte dei conti per l’Umbria ha condannato per responsabilità amministrativa una allevatrice di Nocera Umbra per l’indebita percezione di quasi 90 mila euro di fondi europei.

La Procura regionale contabile contestava alla donna, “in proprio e nella qualità di titolare dell’omonima impresa individuale (esercente l’attività di coltivazioni agricole associate all’allevamento di animali)” danni “complessivamente quantificati in euro 88.041,24, concernenti indebite percezioni di finanziamenti eurounitari e nazionali”. Vicenda che aveva avuto anche un risvolto penale con la richiesta di rinvio a giudizio per truffa aggravata “con riferimento all’indebita percezione di contributi FEAGA-Fondo Europeo Agricolo di Garanzia, anni dal 2016 al 2020”.

Secondo la ricostruzione la donna e il consorte “divenivano assegnatari – dalla Cassa per la formazione della proprietà contadina … di un fondo di ettari 30.58 90 sito a Nocera Umbra, con contratto di vendita con patto di riservato dominio dal prezzo di 232.711,25 euro, da corrispondere in 30 rate annuali di ammortamento costanti, ognuna di 10.390,54 euro, da saldare ogni 31 marzo a decorrere dall’anno 2000”. Nel caso di mancato pagamento di due annualità di preammortamento o di ammortamento, il contratto si intendeva risolto. Dopo il versamento delle prime quattro rate gli assegnatari non effettuavano ulteriori pagamenti. Scattava la richiesta di restituzione del fondo e una sentenza dichiarava la risoluzione del contratto.

In questo periodo, però, la donna presentava domanda di sovvenzione finalizzata ad ottenere da Agea a sostegno dei redditi degli agricoltori, dall’anno 2006 e, dal 2007, anche per finanziamenti di programmi di sviluppo rurale, omettendo “la perdita del titolo giuridico valido di conduzione dei 30 ettari di terreno”. I contributi a fondo perduto, secondo l’accusa, incassati negli anni dal 2006 al 2021, avrebbero raggiunto la cifra di 88.041,24 euro, ma non erano dovuti. Da qui la richiesta della Procura contabile.

Per i giudici contabili la domanda della Procura regionale è fondata in quanto “sussiste sia il nesso di causalità tra la condotta censurata e il presunto danno”, cioè “l’aver indebitamene prodotto istanze di contribuzione, nonostante tutti i terreni agricoli ad oggetto delle stesse non risultassero più nella titolarità di conduzione dell’impresa individuale istante – non avendo più questa diritto a percepire i finanziamenti pubblici, in carenza di un titolo di proprietà o altro valido ciò legittimante”. Con conseguente condanna della donna al risarcimento dell’importo di 88.041,24 euro” da suddividere a favore dell’Unione europea (41.236,48 euro), 46.407,93 euro in favore dello Stato e 396,83 euro alla Regione Umbria, oltre alle spese processuali.



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