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In attesa che Trump decida la quantità di dazi da elargire all’Europa, previa contrattazione, Adolfo Urso ieri ha di nuovo esplicitato il senso della dicitura del ministero che si trova casualmente a guidare: «Imprese e del made in Italy». Urso ha confermato che il governo sta pensando al piano anti-dazi da «25 miliardi di euro» da dare alle imprese come forma di compensazione dei mancati incassi derivanti dalle tariffe che Trump sceglierà, prima o poi, di mettere anche sul «made in Italy.
L’ELEMENTO INTERESSANTE del «piano» annunciato è che i soldi saranno presi dai fondi europei già esistenti: il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) i fondi per la coesione territoriale e quelli per la transizione climatica per l’automotive. Sempre ammesso che si possa fare, e che si riescano a spendere (due elementi non scontati), questi fondi sono gli stessi che il governo, e gli enti locali, in gran parte non riescono a spendere per una consolidata tradizione nazionale, e anche per una volontà politica di non affrontare i nodi decisivi per rendere giusta e efficiente la spesa.
NON È UNA PARTITA che si gioca con i soldi del «Monopoli». C’è una ragione politica. Si usa ora la scusa per i dazi per dare più soldi alle imprese. E non al Welfare e alla sanità, o al diritto all’abitare: vere emergenze. È una prassi. Per esempio, nelle rimodulazioni che il governo ha fatto del Pnrr, ha sostenuto l’Osservatorio Pnrr Openpolis, 11,1 miliardi in più sono stati dirottati verso le imprese sotto forma di incentivi e sgravi fiscale. Quelli destinati alla transizione ecologica dell’automotive sono stati tagliati di 4,6 miliardi. Probabilmente sono andati alla spesa militare. Insomma, si sta trasferendo ricchezza pubblica nelle mani di pochi. Ogni scusa è buona. Del resto, le guerre commerciali sono anche guerre di classe.
PER ARRICCHIRE IL QUADRO in cui sta avvenendo tutto questo si può leggere il nuovo monitoraggio della Cgil sui fondi Pnrr per la sanità. Daniela Barbaresi, segretaria confederale del sindacato, ha sostenuto ieri che sui 19,2 miliardi di fondi disponibili del Pnrr per la sanità, ne sono stati spesi appena 3,7, pari al 19,3%, e solo il 37,9% dei progetti risulta completato. Per le «Case della Comunità», dei 2,8 miliardi di euro di finanziamenti, ne sono stati spesi il 12,4%. Per 420 strutture i lavori non sono ancora partiti e altri 267 progetti devono ancora completare la fase di progettazione. Per gli «Ospedali di Comunità», è stato speso l’11% dei fondi (1,3 miliardi di euro) e sono stati completati solo il 2,6% dei progetti. «Con questo ritmo ci vorranno sette anni per spenderli tutti» sostiene Barbaresi. Il problema è che il Pnrr scade tra un anno. E i soldi torneranno indietro. Nel frattempo Meloni & Co. cercano di darne una parte alle imprese.
A CHI SARANNO TOLTI i soldi Pnrr? Alla Sicilia per esempio. Lo sostiene la locale associazione dei costruttori. Per Salvo Russo, presidente di Ance Sicilia, sono stati «sottratti 3 miliardi in silenzio e dirottati in Liguria e Veneto. Suona come il de profundis alla Sicilia». Per i fondi Pnrr si tratta di due lotti sulla Palermo-Catania: il tratto ferroviario Dittaino-Catenanuova (588 milioni) un tratto della Dittaino-Enna (stanziati buona parte dei 594 milioni) e il passaggio di Augusta (116 milioni). Non è stato indicato quando saranno rifinanziati. Russo ha criticato l’invito della Commissione Ue ad usare i fondi di coesione per «tecnologie innovative, colonnine di ricarica, bonus per l’acquisto delle auto elettriche e per il riarmo europeo». Quest’ultimo però è stato escluso dal governo. Forse non basterà un risarcimento alle imprese promesso dal piano anti-dazi del governo.
QUANTO AGLI ALTRII FONDI europei, è devastante il monitoraggio pubblicato ieri dalla Uil. Solo il 5% è stato speso su quelli previsti dalla programmazione 2021-2027. Su un totale di 74,9 miliardi di euro per la coesione, ne sono stati spesi circa 3,8 miliardi di euro. Sui 48,3 miliardi di euro dei programmi regionali, ne sono stati spesi 3. Sui 44,1 del Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr),gli interventi programmati sono al 15,6% e la spesa effettiva al 4,78%. Per il Fondo sociale europeo plus (Fse+) che finanzia interventi per il lavoro, la formazione e l’inclusione, su un totale di 28,6 miliardi la spesa effettiva è al 5,61%.
«LA LENTEZZA – ha sostenuto la segretaria confederale Uil Ivana Veronese – non può essere un alibi per riprogrammare gli interventi, significherebbe tradire il principio della riduzione delle disuguaglianze». Sta già accadendo. Con o senza dazi.
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