Pmi e catene globali del valore: sfide, strategie e prospettive

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(di Sergio Ventricelli, vicepresidente con delega all’Università e alla Ricerca)

In un’economia globalizzata e in rapida trasformazione, le piccole e medie imprese (Pmi) si trovano a dover affrontare sfide sempre più complesse per restare competitive e presenti nelle catene del valore globali. La loro centralità nell’economia europea è indiscutibile: rappresentano il 99,8% delle imprese dell’Ue e sono il cuore pulsante del tessuto produttivo. Tuttavia, essere parte attiva di un’economia così interconnessa richiede molto più che resilienza: servono visione, strategia e una rinnovata capacità di adattamento.

Le considerazioni che seguono sono emerse a Bruxelles, nel corso del quarto appuntamento del progetto europeo Value Factoring SMEs, di cui Confimi Industria è capofila, un contesto di confronto internazionale pensato per dare voce concreta alle esigenze delle Pmi nei nuovi scenari produttivi globali.

Le difficoltà che le Pmi affrontano possono essere suddivise in due grandi aree: quella politico-sociale e quella strutturale. Sul piano politico, sorprende constatare come, nonostante il ruolo cruciale delle Pmi, in molti Paesi dell’Unione non esista ancora un ministero loro dedicato. Sebbene si parli spesso di Pmi in ambito accademico o economico, manca ancora una visione unitaria e una progettualità industriale su misura. Questo deficit istituzionale finisce per tradursi in un’incapacità di rispondere in modo efficace alle loro esigenze specifiche.

Dal punto di vista strutturale, vi sono quattro problemi storici che continuano a gravare sulle Pmi: l’onere normativo e burocratico, i ritardi nei pagamenti, l’accesso al credito e la difficoltà nel reperire competenze. Le norme, spesso pensate per strutture aziendali ben più grandi, impegnano oltre il 10% del personale delle Pmi solo per garantire la conformità. I tempi di pagamento tra imprese (B2B), nel 2024, hanno superato in media i 60 giorni, con effetti negativi sulla liquidità. Inoltre, l’accesso alle competenze, specie in ambiti tecnici e manageriali, resta critico.

In un contesto così impegnativo, è essenziale che le Pmi del settore manifatturiero tradizionale si dotino di strategie chiare. Oggi più che mai serve un piano d’azione competitivo che punti sull’innovazione dei processi produttivi e su una forte connessione con il mercato. L’internazionalizzazione non è più un’opzione, ma una necessità.

Le imprese manifatturiere, grazie alla loro natura produttiva, sono naturalmente predisposte a inserirsi nelle catene globali, sia come fornitori che come acquirenti. Tuttavia, a differenza del passato, oggi devono fare i conti anche con fattori geopolitici che impattano direttamente le loro decisioni, pur avvenendo a migliaia di chilometri di distanza. Serve dunque alzare l’asticella della competitività, migliorare l’approccio finanziario e investire in settori tecnologicamente avanzati dove, anche una piccola impresa, può ritagliarsi un ruolo chiave nella produzione di componenti ad alto valore aggiunto.

Il consiglio più importante che posso dare alle Pmi è investire nella dimensione culturale dell’imprenditore e nella capacità di costruire strumenti aggregativi. Le reti d’impresa e i consorzi rappresentano una leva fondamentale per proteggere l’impresa dalle difficoltà e rilanciare il suo ruolo nel mercato globale.

Spesso, le micro e piccole imprese faticano ad adottare un approccio culturale all’internazionalizzazione, mancano di figure manageriali qualificate e sottovalutano l’importanza della formazione continua. È essenziale, invece, promuovere nuove generazioni di imprenditori e manager in grado di leggere il contesto geopolitico, cogliere le nuove opportunità e superare le carenze sistemiche.

Non meno importante è il passaggio generazionale, che rappresenta un momento delicato nella vita di una Pmi: se mal gestito, può compromettere la solidità e la visione dell’impresa. Allo stesso tempo, la ridotta dimensione aziendale rischia di relegare l’impresa al ruolo di semplice subappaltatore. Serve quindi rafforzare la capacità delle Pmi di partecipare alla filiera con pari dignità, attraverso collaborazione, coesione e visione condivisa.

Infine, va sottolineata l’importanza della qualità umana. La competitività non è solo una questione di capitali e tecnologie, ma anche – e soprattutto – di persone. Imprenditori e manager preparati, motivati, capaci di affrontare le sfide istituzionali e sociali con spirito innovativo e determinazione, possono davvero fare la differenza.

Le Pmi europee non sono soltanto numeri in una statistica: sono storie di ingegno, determinazione e radicamento territoriale. Per continuare a prosperare in un mercato globale sempre più complesso, devono abbracciare il cambiamento con consapevolezza e investire su cultura, competenze e reti. Solo così potranno costruire catene del valore resilienti e contribuire in modo decisivo alla crescita sostenibile dell’Europa.



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