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di Giuseppe Gaetano, editor in chief
Nel primo trimestre 2025, fra le 2.500 imprese dell’industria e dei servizi interpellate da Bankitalia, prevale la sensazione di peggioramento sia della situazione economica generale, che delle proprie condizioni operative a breve termine.
Sono tuttavia migliorati i giudizi sull’andamento delle vendite, anche per il trimestre successivo, grazie alla domanda estera e quindi nonostante gli annunciati dazi Usa sulle merci, che a quanto pare però rimarranno sulla carta ancora per poco. Le valutazioni sull’accesso al credito risultano stabili e la posizione di liquidità è ritenuta nel complesso soddisfacente; resta inoltre l’intenzione di investire nel corso dell’esercizio. Per i prossimi 9 mesi la crescita dei prezzi è attesa nel complesso moderata, mentre l’aspettativa delle aziende sull’inflazione al consumo aumenta su ogni orizzonte di previsione pur rimanendo su valori inferiori al 2%.
Secondo l’ultima survey BCE sullo stesso periodo, a livello europeo le imprese segnalano un calo dei tassi – segno che l’allentamento della politica monetaria si sta finalmente trasmettendo al mercato – ma anche un ulteriore lieve inasprimento delle condizioni di finanziamento, in particolare dei costi di altri oneri e commissioni, forse per fronteggiare l’alto costo del funding.
Un aspetto che per il governatore di Bankitalia Fabio Panetta sarebbe marginale nel nostro Paese, dove migliora la propensione all’erogazione e la riduzione del fabbisogno di prestiti bancari è da imputarsi soprattutto all’autofinanziamento delle aziende. In generale, le prospettive per il 2° trimestre 2025 sono di un modesto miglioramento.
D’altronde le grandi banche italiane hanno sì registrato risultati record nei bilanci 2024, ma quanto a impieghi hanno performato meglio gli istituti territoriali. Anche Morningstar DBRS ha fatto notare di recente che i prestiti netti totali delle 5 Big (Intesa Sanpaolo, UniCredit, Banco BPM, BPER e MPS) sono diminuiti del 2% l’anno scorso, per un aggregato totale di 22 miliardi di euro: rallentato dalla debole domanda, il nuovo erogato non è riuscito a compensare i rimborsi ma è comunque sceso meno che nel 2023, quando i finanziamenti – strozzati dagli alti tassi di interesse – sono diminuiti del 4% annuo, cioè di 50 mld.
Sappiamo bene che a trascinare al ribasso il dato cumulativo è stato solo il segmento delle imprese, perché il retail si è mantenuto in positivo anche nei momenti di particolare difficoltà per le tasche dei consumatori.
Per le aziende, invece, nel 2024 lo stock di finanziamenti si è ulteriormente ridotto di quasi 20 mld per finire, secondo le rilevazioni della Banca d’Italia, sotto quota 600 mld: l’agenzia di rating stima una crescita dei prestiti moderata nel medio/lungo termine, favorita dalla politica monetaria della Bce ma ostacolata dalle turbolenze macroeconomiche e geopolitiche; il tutto, senza considerare i possibili sviluppi del “risiko bancario” in corso in Italia. L’integrazione delle fusioni comporta spesso revisione e aggiornamento di business model, strategie distributive e commerciali, governance del rischio: può darsi “che un’azienda che ha un’esposizione con due banche che si stanno fondendo, rischi la razionalizzazione del prestito sotto l’entità combinata – sostengono gli analisti -. Nonostante ciò, non prevediamo implicazioni significative per il sistema a lungo termine. Ci aspetteremmo che i concorrenti approfittino di questa interruzione per aumentare la base dei loro clienti“. BCC e Casse di risparmio sono avvertite.
In ogni caso, le garanzie statali – disponibili tramite i fondi gestiti da Mediocredito Centrale, Sace e Ismea – si confermano fondamentali nell’offerta di nuovo credito e nella copertura dei deteriorati, quindi nella protezione degli intermediari dal rischio di credito, tutelando così tutta l’economia. Come vedremo, i vari strumenti della cosiddetta finanza alternativa o extra bancaria – minibond, invoice trading e ultimamente il private debt – costituiscono infatti ancora solo una nicchia di mercato.
Purtroppo uno dei problemi è – appunto – che il riformato Fondo di Garanzia Pmi 2025 ribalta il paradigma e privilegia le realtà meno rischiose, che non sono certo quelle più piccole e bisognose di aiuto. Per forza gli istituti stanno gestendo così bene il credito garantito, ma in teoria tali finanziamenti dovrebbero andare agli imprenditori che grazie ad essi potrebbero tornare in pista, non a chi tutto sommato se la sta già cavando e risulta affidabile. L’incremento delle erogazioni del Fondo nei primi 3 mesi dell’anno è dovuto essenzialmente alla crescita degli importi diretti alle medie aziende. Calano inevitabilmente le garanzie per liquidità, ridotte dall’ultima Legge di Bilancio, che non ha previsto la guerra doganale intrapresa dal presidente americano Donald Trump.
Da gennaio sono già oltre 30mila le richieste di finanziamento, quasi tutte da micro e piccole aziende, bisognose di liquidi e prive di quella patrimonializzazione incrementata nel frattempo dalle colleghe più grandi: è un segnale che non si può ignorare. Già prima delle ultime rilevazioni ufficiali MCC, uno studio congiunto Kpmg/Nsa rivelava che da gennaio a febbraio l’erogato alle medie imprese era salito addirittura del 191% annuo (da 426 milioni a 1,2 mld) e le operazioni del 117% (da 929 a 2.014); percentuali che scendevano rispettivamente a +29 e +15% per le piccole, e a +5 e +13% per le micro imprese. Comparando domande arrivate (8924) e aziende richiedenti (3956), emerge come tante abbiano in essere più di un prestito attraverso il Fondo; del resto una micro impresa non potrebbe mai raggiungere l’importo medio di 212mila euro calcolato dalla ricerca, con una sola operazione.
Fortunatamente, non s’intravedono all’orizzonte pericoli di default e accumuli di rimborsi arretrati: secondo Cerved il rischio di credito è sceso a marzo al 5,3% – ai minimi dalla pandemia Covid – sebbene potrebbe presto risalire a causa dell’esposizione ai dazi, specie per le realtà meno strutturate e con margini di profitto più ridotti.
L’aggressiva politica commerciale trumpiana è destinata a colpire direttamente i settori dediti all’export ma, da lì, ad espandersi a cascata sull’intero indotto: con circa 73 mld nel 2024 (il 9% del totale delle esportazioni), gli Stati Uniti rappresentano infatti il nostro 3° partner commerciale.
Non è un momento facile neanche per alcuni partner locali del tessuto produttivo. Come emerso dal recente report 2025 del comitato Torino Finanza, stanno calando stock e valore delle garanzie concesse dai confidi, con i minori che vengono via via accorpati e i 32 maggiori – operativi in maggioranza al Nord – che presentano un eccesso di dotazione patrimoniale, superiore al 10% dei rischi assunti ed equivalente a quasi 9 mld di nuove garanzie (o a 1 mld di credito diretto). Almeno possono compensano il margine operativo negativo, risultante dal rapporto costi/ricavi, con attività extra rispetto all’emissione di garanzie e legate soprattutto alla consulenza e alla gestione dei rapporti con le banche per conto dei clienti. Il nuovo dl sulle Pmi contempla, comunque, il riordino della disciplina sui confidi per adeguarla proprio alle mutate esigenze di business.
In questo contesto, è logico che lo sguardo vada anche a soluzioni di finanziamento meno tradizionali. Nel 2024 i volumi della Supply Chain Finance, ad esempio, sono rimasti invariati nonostante le importanti evoluzioni normative e tecnologiche che hanno interessato il comparto. Il valore del mercato potenziale italiano del credito di filiera si aggira sui 600 mld, il 22% del quale è coperto da soluzioni di supply chain (131 mld); seguono – stabili anche loro – factoring (60,4 mld), anticipo fattura (54), reverse factoring (9) e confirming (1,6).
Crescono invece strumenti innovativi come purchase order finance (1,4 mld, +35% a/a) dynamic discounting (0,8 mld, +17%), carta di credito b2b (3,8d, +11%) e invoice trading (0,6 mld, +5%). I numeri arrivano dall’Osservatorio costituito ad hoc dal Polimi: il settore “si conferma una leva strategica per affrontare le sfide macroeconomiche, caratterizzate da incertezze e pressioni sul capitale circolante” affermano i ricercatori, e se le nuove regole sulla rendicontazione frenano tecnicamente il business, le direttive sulla sostenibilità ne rimarcano la centralità in chiave di transizione Esg, monitorata da information provider.
I processi SCF si avvalgono sempre più all’intelligenza artificiale, “dalla previsione dei flussi di cassa futuri per comprendere le necessità di liquidità, fino all’automazione di attività operative, come la riconciliazione dei documenti che semplificano l’utilizzo”. La GenAI ha invece ancora un po’ di strada davanti: “dai servizi offerti da startup innovative, non emergono ancora casi d’uso rilevanti” nella previsione delle prestazioni con report automatici, ma è solo questione di tempo.
Altro mercato non convenzionale, per accedere a nuovi capitali, quello dei Minibond ha rialzato la testa l’anno scorso, dopo l’unica battuta d’arresto conosciuta nel 2023: la raccolta, fra le 1.339 imprese censite ancora dal Polimi, è cresciuta a doppia cifra (1,515 mld, +32%), il giro d’affari complessivo ha raggiunto 12,56 mld – attraendo nuove aziende grazie a garanzie pubbliche e basket bond – e il 2025 si prospetta altrettanto favorevole; la palla al piede sono i costi diretti di emissione. La verità è che, anche qui, l’aumento è da attribuire esclusivamente alle grandi imprese: il capitale che compete alle Pmi è pari infatti ad appena 686 mln, in calo annuo.
Per quanto riguarda l’attività, la manifattura resta in testa (24,7%) sebbene in diminuzione, seguita da holding finanziarie (13%) e commercio (12,5%); dal punto di vista geografico, in pole è la Lombardia (71 emittenti, 40%) davanti a Lazio (23, 13%) e Veneto (20, 11%). Quanto agli investitori principali, è testa a testa tra banche estere (33% dei volumi) e italiane (31%).
In sintesi, la corsa a ostacoli tra tassi, tasse, inflazione, costi energetici (adesso anche il premio per la polizza catastrofale obbligatoria) sta mettendo a dura prova la tenuta operativa di buona parte di quel mondo del made in italy penalizzato dal giro d’affari più contenuto e purtroppo, di conseguenza, da un accesso al credito più selettivo. Il governo deve trovare il modo di mettere banche e intermediari in condizione di erogare le risorse necessarie, nel frattempo l’ennesimo taglio da 25 cent al costo del denaro, atteso a Francoforte il 5 giugno, allargherà ancora un po’ lo spiraglio per tornare a criteri di finanziamento più accessibili.
Di tutto questo, e molto altro, si parlerà il prossimo 10 giugno a Roma nell’ambito della 1° edizione del Leadership Forum PMI di EMFgroup, evento di cui PLTV.it sarà media partner (a questo link il form da compilare per assistere ai lavori).
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