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Industria 4.0 e 5.0, data center, sviluppo dell’intelligenza artificiale a supporto del mondo produttivo con sistemi sostenibili di consumo di energia. «Se dovessimo riparlare di questi temi tra due o tre anni, il quadro sarebbe molto diverso rispetto all’attuale. Le tecnologie hanno un’accelerazione quotidiana, di cui non possiamo prevedere, oggi, il punto di approdo finale». A parlare così è la professoressa Eleonora Di Maria, docente di Strategia al dipartimento di scienze economiche e aziendali dell’università di Padova, nonché presidente del centro di ateneo VSix per la connettività e i servizi al territorio. «La sfida dei prossimi anni – aggiunge l’esperta – è come far crescere la digitalizzazione, che prevede un consumo sempre crescente di energia, in modo sostenibile». La controprova? Nonostante le difficoltà nelle stime, in Europa la domanda di potenza dei data center è stimata aumentare di 2,5 volte, dai 10 Gigawatt odierni ai 35 Gw nel 2030, e quella di energia elettrica è prevista quasi triplicare, dai 62 Terawatt/h (stima che esclude il consumo derivante dalle cryptovalute) a oltre 150 TWh.
È necessario comprendere un aspetto fondamentale del problema. Più le imprese lavorano nel processo di digitalizzazione, che anche nel Nord Est sta crescendo, maggiore sarà il consumo di energia, perchè questi dati devono essere elaborati e conservati. Sul sito datacentermap.com c’è la fotografia di quanti sono e dove sono. In Veneto lo snodo più importante è quello di Padova, dove sono presenti diversi data center, poi c’è il polo di Mestre. E ancora quello da poco inaugurato da Raiway a Campalto, e uno molto rilevante di Infocamere, sempre a Padova. Il VSix, invece, è un vero e proprio Internet exchange e gestisce le connessioni Internet tra Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige.
«Da una ricerca che abbiamo fatto su 500 data center europei – commenta la professoressa Di Maria – abbiamo visto che tra i criteri di progettazione dei data center, il primo punto riguarda la sicurezza, poi viene l’efficientamento energetico, al terzo posto la connettività. Ogni quattro-cinque anni devono essere completamente rinnovati, è necessario cambiare tutte le macchine, perché la tecnologia su cui si basano si evolve in modo rapido». Ecco quindi che la domanda di energia, per far funzionare al meglio queste strutture sempre più complesse, diventa crescente. Devono poi essere studiate le soluzioni tecnologiche per il raffreddamento e per risparmiare energia e contemporaneamente aumentare la loro diffusione territoriale, vicini a dove sono le imprese.
«Il tema critico – osserva Di Maria – rimarrà la capacità di avere energia da fonti rinnovabili e l’uso dell’acqua per il raffreddamento. L’altro aspetto è legato al tema dello sviluppo dell’IA che richiederà sistemi ancora diversi e tecnologicamente avanzati, con strutture di calcolo che siano sempre più potenti». Non si può poi prescindere dal problema emissioni. L’impatto dei data center è aumentato, dal 2010 al 2020, dal 33% al 45%. «Un data center come il nostro VSix- afferma la docente di Padova – consuma circa 100 tonnellate equivalenti di CO2, un po’ come andare da Napoli a Venezia ogni giorno».
I data center, dunque, sono vere e proprie fabbriche che “mangiano” energia. Più dati ci sono da trattare, da analizzare, più ci sarà bisogno di infrastrutture dove i dati possano essere conservati e resi accessibili in un certo modo. A livello mondiale gli Usa sono il Paese più avanzato per quanto riguarda lo sviluppo di data center, in Europa adesso ci sono più di 550 aziende che gestiscono data center. In Italia è stata creata un’associazione, la Ida, che riunisce le imprese del settore.
«Le fonti di energia per alimentare queste infrastrutture altamente sofisticate – ammette Di Maria – sono la priorità. Si tratta tra l’altro di infrastrutture che non possono essere mai spente, hanno un utilizzo 24 ore su 24. I grandi operatori e le imprese cercano di utilizzare non solo energia da fonti fossili, ma anche da rinnovabili, che dovranno necessariamente essere implementate in modo deciso in futuro se vogliamo perseguire questa strada. Il consumo di energia è notevolissimo perché le macchine devono essere raffreddate. Con il raffreddamento si produce calore che può essere riutilizzato per il teleriscaldamento a uso civile. È un modello non ancora diffuso, ma potrebbe essere una delle direzioni praticabili. Lo sta sperimentando Aruba con il suo data center in provincia di Arezzo».
Nonostante i progressi in efficienza energetica, l’industria dell’immediato futuro avrà bisogno di sempre più energia. Nel Nord Est, questo fabbisogno si intreccia con un tessuto produttivo ad alta intensità energetica: dalla metallurgia in Veneto e Friuli Venezia Giulia, alla ceramica e all’alimentare in Emilia Romagna, fino alla carta, metallurgia e alimentare in Trentino Alto Adige. Le 1.360 imprese energivore della macro regione impiegano oltre 150 mila addetti, rendendo l’energia un tema cruciale per competitività e lavoro. In questo scenario, il cleantech potrebbe rappresentare un’opzione interessante: una traiettoria da esplorare per coniugare innovazione, autonomia energetica e sostenibilità.
«Nel confronto tra le quattro regioni del Nord Est, il Veneto emerge nettamente come il principale polo industriale energivoro, con 672 imprese e oltre 69 mila dipendenti – scrive un report elaborato dalla Fondazione Nord Est – , seguito da vicino dall’Emilia Romagna con 495 imprese e quasi 60 mila occupati. Queste due regioni rappresentano da sole oltre l’85% dell’occupazione complessiva del settore nell’area, confermando la loro centralità produttiva. Più contenuta ma comunque significativa è la presenza in Friuli Venezia Giulia, con 128 imprese e 12.249 addetti, mentre il Trentino Alto Adige si colloca in coda con 65 imprese e 9.189 dipendenti, pur mostrando un rapporto elevato tra numero di lavoratori e numero di aziende».
La fotografia scatta dalla Fondazione evidenzia dunque un tessuto produttivo variegato, in cui la dimensione occupazionale delle imprese energivore è fortemente legata alla struttura industriale regionale e alla concentrazione settoriale. «Ogni intervento su politiche energetiche (tariffe, sostegni, transizione verde) ha effetti diretti sul mercato del lavoro e sulla competitività», osserva la Fondazione Nord Est. In estrema sintesi: nel futuro non ci sarà industria, senza energia.
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