La sostenibilità come investimento – la Repubblica

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Le aziende italiane che investono sulla sostenibilità sono più produttive, competitive e solide dal punto di vista finanziario. Tuttavia, i vantaggi della transizione restano ancora concentrati tra le grandi imprese: secondo il rapporto “Scenari per l’Italia al 2035 e al 2050”, realizzato dall’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile (ASviS) in collaborazione con Oxford Economics, il 74% delle grandi aziende è già attivamente coinvolto nella tutela ambientale, mentre le piccole e medie imprese si fermano al 35%. Un quadro in chiaro scuro in sostanza sul quale intervenire per promuovere la transizione ecologica. “Le grandi realtà vedono la sostenibilità e il digitale come parti integrate di un processo di trasformazione aziendale. Le Pmi, invece, non hanno ancora la stessa consapevolezza e vivono la transizione ancora prevalentemente come un obbligo normativo, più che come opportunità – spiega Piermario Barzaghi, partner e head of Sustainability di Kpmg – Ora più che mai è fondamentale che le imprese italiane tengano salda la rotta della sostenibilità, con i grandi gruppi che possono e devono svolgere un ruolo trainante nei confronti delle realtà minori”.

La sfida, sottolinea Barzaghi, è orientarsi verso una transizione efficace. “Innanzitutto, la sostenibilità non deve essere percepita come un costo, bensì come un investimento capace di attrarre talenti, migliorare il brand e soddisfare le crescenti aspettative di consumatori sempre più attenti ai criteri Esg, lungo tutta la catena del valore. Il tema normativo esiste ma la Commissione europea ha risposto positivamente alla richiesta di semplificazione delle piccole e medie imprese con la direttiva Omnibus, che allenta i tempi della rendicontazione e riduce drasticamente il numero di aziende coinvolte”. Nel mosaico disegnato da Kpmg rientra anche un altro salto di qualità, altrettanto strategico: “Le imprese devono passare dalla sostenibilità come compliance normativa alla sostenibilità come leva strategica di crescita e competitività. Se si vuole creare valore condiviso, bisogna infatti anticipare i nuovi bisogni ambientali e sociali. Di conseguenza, la sostenibilità e il digitale devono viaggiare in parallelo ed essere supportati dalla valorizzazione del capitale umano”. La citazione delle persone, dei talenti e delle competenze è tutt’altro che casuale. L’avanzata della sostenibilità sta infatti generando una vera e propria domanda specifica di competenze green.

“Per guidare efficacemente questa doppia transizione, verde e blu, servono nuove competenze. I programmi di riqualificazione professionale sono dunque fondamentali, anche all’interno del settore pubblico”. Se si guarda il fronte tecnologico, la tendenza delle aziende più avanzate a integrare tecnologie più sostenibili (solare, eolico e idrogeno su tutte), riducendo così la dipendenza da fonti fossili importate dall’estero, testimonia una traiettoria nitida. Del resto, sottolinea Barzaghi, “la decarbonizzazione non è un’opzione, ma un processo inevitabile per la competitività futura”. Se si guarda invece al mercato, c’è da segnalare il ruolo delle nuove generazioni. I consumatori del presente e soprattutto del futuro, sempre più attenti e sensibili ai temi della sostenibilità, spingono infatti le aziende a rivedere continuamente la propria offerta. Un impatto che dal mercato arriva fino alla governance e nelle strategie aziendali complessive.Ultimo, ma non meno importante, è il contributo della collaborazione pubblico-privato attraverso i processi della cosiddetta “open innovation”. “Solo creando ecosistemi solidi e integrati – conclude Barzaghi – possiamo affrontare efficacemente sfide epocali come quella della decarbonizzazione e costruire un futuro realmente sostenibile. In questa direzione, è essenziale un ruolo attivo del settore pubblico per stimolare l’innovazione e incentivare politiche industriali integrate, riaffermando così il valore della conoscenza scientifica”.



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