Solo le imprese energivore del settore manifatturiero possono avere agevolazioni sull’elettricità

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Lo Stato membro – in questo caso l’Italia – può concedere al solo settore manifatturiero le agevolazioni sull’elettricità per le imprese “energivore”. Lo afferma la Corte di Giustizia europea che con sentenza di oggi sottolinea la possibile natura fiscale dell’agevolazione e sostiene la compatibilità della legge italiana con il diritto dell’Unione.

La questione riguarda le agevolazioni sul consumo di elettricità da parte delle imprese “a forte consumo di energia” o “energivore”. L’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il settore idrico (Aeeg) ha ridefinito i corrispettivi a copertura degli oneri generali di sistema, limitando l’erogazione dei benefici alle sole imprese energivore del settore manifatturiero. Limitando, di fatto, l’accesso alle imprese operanti in settori diversi, come quello dei servizi sanitari.

Dunque, il Consiglio di Stato ha chiesto alla Corte Ue se tali tipi di benefici abbiano natura fiscale e se l’ordinamento comunitario e la direttiva sulla tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità (2003/96/CEE) ammettano una disciplina nazionale come quella italiana. Una disciplina che, per un verso, introduce un sistema di agevolazioni sul consumo di elettricità da parte delle imprese “a forte consumo di energia” e, per altro verso, destina tali agevolazioni in favore soltanto di alcune imprese, escludendone altre.

La Corte afferma che gli importi dovuti dalle imprese per coprire i costi generali del sistema elettrico possono avere natura di imposte indirette, se il giudice nazionale ha constatato che i soggetti utilizzatori dei servizi della rete elettrica hanno un obbligo – coercibile da parte della pubblica Autorità – di effettuare i relativi pagamenti alla Cassa conguaglio per il settore elettrico.

L’obbligo ha quindi natura fiscale e lo confermerebbe il fatto che le somme raccolte sono destinate a finanziare non solo (e non necessariamente) i costi di produzione e distribuzione dell’elettricità, ma anche i costi legati a obiettivi d’interesse generale (come la promozione delle energie rinnovabili, l’efficienza energetica, la sicurezza nucleare ecc…).

Una natura che non è neanche smentita dal fatto che i costi generali si riverberino sulla bolletta dell’utente finale e neanche dal fatto che le somme raccolte non passino per il bilancio dello Stato per finanziare voci della spesa pubblica. Le somme sono distribuite da un fondo di compensazione per riequilibrare i costi sostenuti da soggetti, anche privati, in relazione a progetti specifici indicati dalla legge (ad esempio: smantellamento di centrali nucleari, produzione di energia con fonti rinnovabili, ecc…).

Il fatto che solo alcune imprese, a differenza di altre, siano beneficiarie della riduzione fiscale non è contrario al diritto europeo. Ci si potrebbe però chiedere se la normativa nazionale «selettiva» costituisca un aiuto di Stato. Ma questa è un’alta questione, di cui la Corte non è stata investita. Comunque, la direttiva consente agli Stati membri di riconoscere gli incentivi solo ad alcune imprese energivore, a seconda del loro settore, concretamente individuato.

L’Ue fissa le disposizioni per la tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità. Lo fa con lo scopo di migliorare il funzionamento del mercato interno limitando le distorsioni della concorrenza tra gli oli minerali e gli altri prodotti energetici, e lo fa con lo scopo di promuove un uso più efficiente dell’energia per ridurre la dipendenza dai prodotti energetici di importazione e limitare le emissioni di gas serra. Inoltre, nell’intento di proteggere l’ambiente, autorizza gli Stati membri a concedere sgravi fiscali alle imprese che adottano misure specifiche per ridurre le loro emissioni.



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