Pil, l’Italia cresce ancora. In Germania è naufragio

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Nel cuore dell’Europa due traiettorie divergenti. La Germania è in stallo, ferma a crescita zero, secondo la Bundesbank, mentre l’Italia che avanza, seppur non con il passo dell’antilope. Le Prospettive per l’economia italiana 2025-2026 dell’Istat indicano un Pil in aumento dello 0,6% quest’anno e dello 0,8% il prossimo, dopo un +0,7% nei due anni precedenti. A spingere l’espansione sono soprattutto le politiche economiche del ministro Giorgetti e del governo Meloni, focalizzate su crescita interna, sostegno ai redditi, soprattutto i più bassi, e alle imprese nonché su misure di rilancio degli investimenti.

La domanda interna è il vero traino: consumi, investimenti e lavoro registrano andamenti solidi. I consumi privati dovrebbero crescere dello 0,7% nel biennio, grazie all’aumento dell’occupazione e degli stipendi, nonostante una maggiore propensione al risparmio. Il mercato del lavoro è in salute: l’Istat prevede un aumento delle unità di lavoro (+1,1% nel 2025, +1,2% nel 2026) e il tasso di disoccupazione è atteso in calo dal 6% atteso quest’anno al 5,8% del 2026. Sono dati che confermano la bontà delle misure promosse dal governo, volte a favorire l’occupazione stabile e a sostenere le famiglie.

Gli investimenti sono in aumento: +1,2% nel 2025 e +1,7% nel 2026, grazie al biennio conclusivo del Pnrr e all’avvio del piano Transizione 5.0, in un contesto di finanza pubblica ordinata e credibile caratterizzato dal taglio dei tassi della Bce che alleggerisce il costo del credito. Sul fronte del commercio, l’Italia dà segnali di una buona tenuta. Le esportazioni (+1,3% nel 2025, +1,8% previsto nel 2026) reggono nonostante i dazi Usa e un euro forte. A pesare sul clima di fiducia di famiglie e imprese è stato proprio il rischio di nuove barriere commerciali. L’Istat parla di un impatto negativo ma contenuto, che ha accelerato le transazioni nel primo trimestre 2025 (export +2,8%) grazie a un effetto anticipo dettato dal timore di restrizioni imminenti. Le tensioni tariffarie continueranno a farsi sentire, ma in misura contenuta: la struttura del made in Italy, più flessibile e diversificata di quella tedesca, protegge le imprese italiane, più orientate verso beni meno colpiti dalle misure protezionistiche.

La Germania, tradizionale locomotiva europea, attraversa invece una congiuntura esattamente opposta. La Bundesbank prevede che nel 2025 non ci sarà crescita del Pil (-0,1/+0,1% a seconda degli scenari) e stima un +0,7% nel 2026, al di sotto dell’Italia. Potrebbe così materializzarsi, nel 2025, il terzo anno consecutivo di recessione un record negativo se la guerra commerciale dovesse intensificarsi. Ad aprile le sue esportazioni sono calate dell’1,7%, con un -10,5% verso gli Stati Uniti e -5,9% verso la Cina. Il mix è preoccupante: dazi Usa, euro forte, costi energetici elevati uniti alla debolezza della meccanica e dell’automotive. Solo verso la fine del 2027 il piano di investimenti in infrastrutture e difesa del cancelliere Merz potrebbe risollevare il Pil. L’allarme viene anche dal mercato del lavoro: fino a 90mila posti sono a rischio nelle imprese tedesche, secondo l’Agenzia federale per l’impiego.

L’Italia non è completamente al riparo in questa tempesta, ma oggi appare più pronta ad affrontare l’instabilità globale: più agile sui mercati, più equilibrata sul piano interno e con una strategia industriale che inizia a dare frutti.

Nel confronto con una Germania in stagnazione, emerge chiaramente il vantaggio competitivo italiano: una capacità di adattamento che fa la differenza. I prossimi mesi saranno difficili, ma l’Italia comunque sta navigando.



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