Così la Cina strangola i paesi poveri

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Era il banchiere dei paesi in via di sviluppo, e adesso è il loro asfissiante creditore: nel giro di un decennio la Cina è passata dall’essere la principale fornitrice di prestiti a paesi in cerca di finanze per investimenti infrastrutturali all’essere l’incubo dei debitori più poveri. Quest’anno per la prima volta in assoluto Pechino supererà tutti i paesi occidentali raccolti nel Club di Parigi (associazione informale di detentori di debito estero) per incassi da servizio del debito (interessi più restituzione di quote di prestito) per la bellezza di 35 miliardi di dollari; di questi, 22 arriveranno da 75 fra i paesi più poveri e vulnerabili del mondo. Lo rivela il rapporto Peak repayment: China’s global lending del Lowy Institute, un centro di studi internazionali di Sydney (Australia).

Gli effetti della Nuova via della seta

La situazione odierna è il prodotto delle politiche della Belt and Road Initiative (Bri), nota in Italia come la Nuova via della seta: il programma di investimenti infrastrutturali nei paesi a basso e medio reddito per facilitare l’inoltro delle merci cinesi in tutti i continenti varato nel 2013. Si calcola che nel giro di dodici anni a partire da allora Pechino abbia elargito più di 1.000 miliardi di dollari a quasi 150 paesi, se si sommano investimenti diretti e prestiti per la costruzione di una rete di strade, aeroporti, ferrovie, porti e sistemi di telecomunicazione.

Il picco dei prestiti garantiti dallo Stato cinese è stato toccato nel 2016, con 50 miliardi di dollari di crediti garantiti da Pechino, cifra superiore a tutti i prestiti concessi dai creditori occidentali in quell’anno. Il boom dei prestiti cinesi è stato più pronunciato nei paesi a basso reddito e ad alta vulnerabilità, dipendenti da creditori bilaterali e multilaterali e con accesso limitato al mercato dei capitali privati internazionale.

Subito dopo gli importi sono scesi vorticosamente, e oggi i nuovi prestiti della Cina non superano i 7 miliardi di dollari all’anno. A parte la pausa del Covid, la flessione è avvenuta a causa di intoppi nella realizzazione dei progetti, di necessità di bilancio e pressioni interne e, progressivamente, di problemi nel pagamento degli interessi e nella restituzione dei prestiti. Le condizioni standard dei prestiti offerti dalle banche cinesi prevedono in genere un periodo di grazia di 3-5 anni nei quali non si paga nulla e una scadenza di 15-20 anni per il rimborso di tutta la cifra. Poiché l’ondata di prestiti della Bri cinese ha raggiunto il picco a metà degli anni 2010, tali periodi di grazia hanno iniziato a scadere all’inizio del secondo decennio del millennio.


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La Cina domina i paesi più poveri

Il risultato di tutto questo è che oggi in 54 dei 120 paesi in via di sviluppo con dati disponibili, i pagamenti per il servizio del debito alla Cina superano i pagamenti complessivi dovuti al Club di Parigi, cioè al blocco che include tutti i principali creditori bilaterali occidentali. Il servizio del debito cinese è particolarmente dominante in Africa, ma è pari o superiore a quello dovuto ai membri del Club di Parigi dalla maggior parte dei paesi dell’America Latina, del Pacifico insulare, dell’Asia meridionale, dell’Asia centrale e del Sud-Est asiatico.

Il servizio del debito ai creditori del Club di Parigi rimane maggiore solo nell’Europa orientale, nell’America centrale e in Medio Oriente. La Cina è il maggiore creditore bilaterale in 53 paesi e si colloca tra i primi cinque in tre quarti di tutti i paesi in via di sviluppo. Nel 2023, la Cina deteneva il 26 per cento del debito bilaterale estero dei paesi in via di sviluppo e più del 50 per cento nelle economie più povere e vulnerabili del mondo. La posizione creditizia della Cina si è rapidamente trasformata, passando da fornitore netto di finanziamenti – prestava più di quanto ricevesse in rimborsi – a soggetto che drena risorse, dal momento che ora i rimborsi superano le erogazioni di prestiti.

Xi Jinping, presidente della Cina (Ansa)

Asia e terre rare: le mire di Pechino

La transizione è stata netta: nel 2012 la Cina rappresentava un drenaggio netto solo per le finanze di 18 paesi in via di sviluppo, nel 2023 il numero era salito a 60. Nel complesso, i flussi netti dalla Cina verso i paesi in via di sviluppo sono scesi a -34 miliardi di dollari nel 2024. Ancora nel 2019 il flusso era positivo per 21 miliardi di dollari.

I nuovi prestiti che Pechino continua a erogare riguardano due categorie di paesi: quelli che confinano con la Cina e molti di quelli che forniscono materie prime all’industria cinese. Si tratta cioè di due gruppi di debitori di rilevanza strategica. Perciò nonostante il calo dei prestiti globali, la Cina rimane il principale creditore bilaterale in sette dei nove paesi confinanti per i quali sono disponibili dati sul debito: Laos, Pakistan, Mongolia, Myanmar, Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan. La maggior parte di essi ha ricevuto nuovi impegni di prestito cinesi dal 2019 e, insieme, rappresentano un quarto di tutti gli esborsi dall’inizio della crisi dei prestiti cinesi cominciata nel 2017.

Il secondo gruppo di beneficiari è costituito da economie in via di sviluppo che sono esportatori di minerali o metalli essenziali per le batterie elettriche e per le componenti di cellulari e computer. Mentre gli impegni di prestito della Cina sono crollati a partire dal 2017, i nuovi accordi di prestito con i principali esportatori di minerali (Argentina, Brasile, Repubblica Democratica del Congo e Indonesia) si sono dimostrati relativamente resilienti. Nel 2023, hanno ricevuto erogazioni per oltre 8 miliardi di dollari, pari al 36 per cento del totale dei prestiti in uscita dalla Cina in quell’anno.


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Il dilemma della Cina

Pechino si trova di fronte a un dilemma: insistere troppo per ottenere il rimborso dei prestiti potrebbe danneggiare i legami bilaterali che ha creato e minare i suoi obiettivi diplomatici di lungo periodo. Allo stesso tempo, le istituzioni creditizie cinesi, in particolare le imprese private e quelle parastatali, subiscono crescenti pressioni all’interno del paese per recuperare i debiti in sospeso. Resta da vedere come il passaggio della Cina al ruolo di principale esattore dei debiti inciderà sulla sua reputazione di partner per lo sviluppo e sul suo messaggio più ampio sulla cooperazione Sud-Sud. Data la sua portata e l’importanza dei creditori bilaterali nelle ristrutturazioni del debito, la Cina esercita ora un’enorme influenza sulle prospettive di sostenibilità del debito dei paesi più poveri.

La crisi non sta tuttavia spingendo i paesi in via di sviluppo fra le braccia dell’Occidente: la politica transazionale nelle relazioni internazionali dell’amministrazione Trump e la riduzione degli aiuti allo sviluppo da parte europea suggerisce agli stati africani e sudamericani fortemente indebitati con la Cina di cercare accordi di ristrutturazione del debito, cosa che è già accaduta in Ghana, Suriname e Zambia. Non intendono rinunciare alle partnership avviate con la Cina. E questo nonostante sia palese che sono stati vittima della “diplomazia della trappola del debito”: ora che li tiene per la gola con un debito impossibile da ripagare secondo i termini concordati, la Cina è in grado di ottenere da loro maggiori concessioni geopolitiche.

La riduzione della povertà rallenta

Gli effetti della nuova dipendenza debitoria dei paesi in via di sviluppo sono comunque tangibili: la riduzione della povertà globale ha subito un rallentamento, quasi arrestandosi, dal 2019. Solo il 16 per cento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite è sulla buona strada per essere raggiunto entro il 2030, mentre il restante 84 per cento mostra progressi limitati o addirittura una netta inversione di tendenza.

Rispetto al 2011 la quota di entrate pubbliche nei paesi in via di sviluppo destinata al servizio del debito estero è raddoppiata. Nel 2023, circa 3,3 miliardi di persone vivevano in paesi che spendevano più per il pagamento degli interessi sul debito che per la salute o l’istruzione. E il numero sta aumentando.

@RodolfoCasadei



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