Perché il modello attuale di sviluppo dell’intelligenza artificiale può non essere sostenibile

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Perché il modello attuale di sviluppo dell’intelligenza artificiale può non essere sostenibile Nella foto: Maurizio Gardini, Franco Bernabè, Era Dabla-Norris, Vittorio Carlini, Isabelle Andrieu, Gloria Bartoli e pubblico in sala [
Michele Lotti – Archivio Ufficio Stampa PAT]

Il rischio è connesso alla velocità del cambiamento in atto, ed è un rischio che va affrontato, secondo Isabelle Andrieu, co-founder Translated. “Un 30% dei posti di lavoro sono a rischio a causa dell’introduzione dell’intelligenza artificiale. É quindi necessario prevedere misure di sostegno per la prima fase di transizione, come sussidi di disoccupazione, investimenti in formazione e programmi di assistenza sociale”. Invece, dazi e vantaggi fiscali non sono la strada giusta per affrontare questo cambiamento, perché possono essere controproducenti. “Bisogna trovare il giusto equilibrio tra l’incoraggiare lo sviluppo di queste nuove tecnologie e il proteggere il lavoro di lavoratori e lavoratrici”.

La sostenibilità economica è un tema quando si parla di intelligenza artificiale, ma bisogna considerare anche l’impatto ambientale e sociale di questa tecnologia, sottolinea Franco Bernabè Presidente, Università di Trento. “La potenzialità per le imprese – ha detto – c’è ed è enorme, ma va affrontata prestando attenzione ai costi, rispettando i vincoli normativi e considerando l’offerta open source. Io vedo uno sviluppo in mano a start up che mostreranno alle imprese utilizzi che abbattono realmente i costi aziendali’.

A questo punto, viene da chiedersi se, dal punto di vista delle imprese, la domanda di intelligenza artificiale giustifichi questi grandi investimenti sulle nuove tecnologie. “L’80% delle piccole e medie imprese – risponde Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative – non si pone ancora domande sull’intelligenza artificiale, su come questa possa intervenire nel processo produttivo e portare vantaggi. Farei invece una considerazione più etica e sociale. Come rappresentante di un modello di impresa, quella cooperativa, vorrei mettere al centro dello sviluppo di questa nuova tecnologia l’essere umano. Il dato che mi preoccupa di più, che abbiamo indagato con il Censis, ci parla di 6 milioni di lavoratori in Italia che resteranno fuori dal mercato del lavoro a causa dell’intelligenza artificiale e 9 milioni che dovranno convivere con questa tecnologia. E non sarà semplice”.

L’intelligenza artificiale può potenziare il lavoro umano, non sostituirlo. E le previsioni negative si basano su scenari incompleti. “Quando si parla di scenari futuri – ha affermato Gloria Bartoli, Segretario Generale dell’Osservatorio Produttività e Benessere, Fondazione Economia Tor Vergata – solitamente ci si dimentica di vedere tutti gli elementi presenti nel futuro che ci si immagina. Nel 2030 mancheranno 2 milioni di lavoratori all’anno in Europa a causa dell’inverno demografico. L’andamento decrescente della popolazione in età di lavoro si incontrerà con l’intelligenza artificiale in modo che copra questo gap”.

C’è un settore in cui l’intelligenza artificiale é molto diffusa, quello delle traduzioni, ma questo non vuol dire che interpreti e traduttori scompariranno. Ne é convinta Era Dabla-Norris, Deputy Director Fiscal Affairs Department, Fondo monetario internazionale, “La lingua è una delle cose più complesse per una macchina da risolvere, cogliere le sottigliezze del linguaggio umano. Il lavoro umano nella traduzione cambierà, ma non scomparirà”.



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