L’ INCERTEZZA NORMATIVA SU UNICREDIT-BPM CREA DANNI FINANZIARI

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PERSI 1,8 MILIARDI DI CAPITALIZZAZIONE IN DUE GIORNI PER I DUE GRUPPI

L’incertezza normativa legata all’Ops di Unicredit su Banco Bpm sta generando conseguenze finanziarie tangibili: in appena due giorni, i due istituti hanno perso complessivamente oltre 1,8 miliardi di euro di capitalizzazione di Borsa. Lo rileva un’analisi del Centro studi di Unimpresa, secondo cui la sospensione dell’offerta da parte della Consob e l’attivazione della golden power da parte del governo stanno alimentando una spirale negativa sui mercati. Nel dettaglio, il titolo Unicredit ha ceduto il 2,3% , scendendo da una capitalizzazione di 65,9 miliardi a 64,4 miliardi di euro , mentre Banco Bpm ha perso il 4,1% , con una capitalizzazione scesa da 7,6 a 7,3 miliardi . La dinamica non è legata a fattori industriali, ma alla crescente percezione del rischio regolatore:

È un segnale pericoloso per il sistema bancario e per gli investitori internazionali. È indispensabile una governance chiara e preventiva per operazioni di sistema, in grado di garantire certezza del diritto e trasparenza dei processi. L’ops Unicredit-Banco Bpm corre il rischio di trasformarsi in un caso-scuola di frizione tra finanza, istituzioni e diritto. Tutte le parti in causa – governo, autorità, operatori – dovrebbero ricondurre la questione a un confronto chiaro, equilibrato e trasparente. L’Italia ha bisogno di banche forti, ma anche di un sistema pluralista che continui a garantire accesso al credito per l’intero tessuto produttivo, in particolare per le pmi» commenta il vicepresidente di Unimpresa, Giuseppe Spadafora.

Secondo gli analisti del Centro studi di Unimpresa, l’offerta pubblica di scambio (ops) promossa da Unicredit su Banco Bpm, annunciata con l’obiettivo di rafforzare la posizione del secondo gruppo bancario italiano e consolidare ulteriormente il sistema, si sta trasformando in un caso emblematico di ingorgo normativo, tensione regolamentare e scontro tra istituzioni e operatori di mercato. L’operazione lanciata da Unicredit ha una portata sistemica. Con una capitalizzazione aggregata superiore agli 80 miliardi di euro e una quota di mercato post-fusione che si avvicinerebbe al 30% nei crediti a imprese e famiglie, si tratterebbe della più rilevante operazione nel settore bancario italiano degli ultimi 15 anni. L’ops è parte di una strategia industriale di Unicredit orientata a rafforzare la propria scala, razionalizzare i costi e migliorare il ritorno sul capitale. Tuttavia, a fronte della spinta del mercato, sono emerse due forme di resistenza istituzionale. Potere d’oro: il governo ha attivato il meccanismo di veto parziale, motivando la decisione con la necessità di tutelare gli asset strategici legati al credito in settori sensibili. Unicredit ha reagito con l’annuncio di un ricorso al Tar e il coinvolgimento della Commissione Ue. Sospensione Consob: la Commissione ha disposto la sospensione dell’Ops per 30 giorni, decisione che ha spinto Banco Bpm ad annunciare ricorso al Tar, definendo la misura “abnorme”.

L’incertezza normativa ha già avuto ripercussioni finanziarie: nei giorni successivi agli interventi del governo e della Consob, i titoli delle due banche hanno registrato forti oscillazioni. In particolare, Banco Bpm ha visto un calo del 4,1% in Borsa nella seduta immediatamente successiva allo stop Consob; Unicredit ha perso il 2,3%, segno che anche il mercato teme interferenze e allungamenti dei tempi. Va inoltre considerato il clima di tensione che si sta generando tra gli organi regolatori e il management delle banche coinvolte. L’ad di Banco Bpm, Giuseppe Castagna, ha parlato apertamente di “impedimento alla libertà d’impresa” e di “mancata tutela degli interessi degli azionisti”. Vanno rilevati alcuni rischi strutturali. Eccessiva concentrazione bancaria: la fusione ridurrebbe ulteriormente la concorrenza tra i grandi istituti, con possibili effetti negativi su condizioni di credito, soprattutto per le pmi. Dipendenza dai grandi fondi: la governance post-fusione rischierebbe di essere ancor più nelle mani degli investitori istituzionali internazionali, con minore attenzione ai territori e alle economie locali. Incertezza regolatoria: l’attivazione di strumenti straordinari (golden power, sospensione Consob) segnala l’assenza di un quadro chiaro e preventivo in grado di governare operazioni di questo tipo in modo lineare.

« Ogni operazione di concentrazione bancaria deve essere valutata non solo in termini di vantaggi industriali, ma anche per i suoi impatti sul credito a famiglie e imprese, sulla territorialità del sistema bancario e sul pluralismo finanziario. È fondamentale che l’Italia non invii segnali contraddittori agli investitori: serve una cornice giuridica certa, che garantisca trasparenza, stabilità e tempi prevedibili. Il ricorso alla golden power va maneggiato con attenzione: è uno strumento utile per tutelare l’interesse nazionale, ma non può diventare un ostacolo sistemico al consolidamento, se ben motivato e condiviso con l’Ue» spiega il vicepresidente di Unimpresa.

Ufficio Stampa Unimpresa
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