L’Italia non usa i soldi per la transizione

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Doveva essere un meccanismo redistributivo per finanziare la transizione e facilitare la decarbonizzazione dell’atmosfera, e invece il sistema europeo di aste e scambio di quote di emissione ETS (Emissions Trading System) rischia di risolversi, almeno in Italia, in un balzello come un altro, che si perde nella fiscalità generale. Da un’analisi del team di esperti di politiche climatiche ECCO (Aste EU ETS in Italia. Trasparenza e tracciabilità dei ricavi, a cura di Francesca Bellisai e Costanza Scano) risulta che solo il 9% dei 15,6 miliardi di euro incassati dalle aste ETS nel periodo 2013-2023, è stato speso dai vari governi italiani per azioni a favore del clima. Quel 9% è davvero poco, considerando che la direttiva ETS imponeva che almeno il 50% degli introiti fosse usato per alcuni obiettivi prioritari: sviluppo di energie rinnovabili; investimenti in Paesi terzi; trasporto pubblico a basse emissioni; efficienza energetica, isolamento termico e sostegno ai redditi medio-bassi.

NEL VERIFICARE LA RENDICONTAZIONE richiesta dalla Commissione europea sul portale Report Net, le analiste di ECCO si sono perse in un dedalo di decreti ministeriali: tra impegni presi e non rispettati ed esborsi che non corrispondono agli impegni e tra ritardi nella messa a disposizione dei proventi e mancati rimandi ai decreti di vari Ministeri (ambiente, finanze, imprese) che hanno effettivamente allocato i fondi, è pressoché impossibile capire cosa sia stato speso e come. Succede così che anche nel Climate Action Progress Report 2024, che la Commissione ha presentato al Parlamento europeo e al Consiglio, alla voce Percentuale versata fino all’anno 2023, per l’Italia compare un imbarazzante 0%.

«DALLA NOSTRA ANALISI risulta un quadro opaco che rivela un’inefficienza nella gestione e fa nascere dubbi su quanto efficacemente il meccanismo ETS sia usato in Italia – spiega Chiara di Mambro, Direttrice dalla strategia Italia ed Europa di ECCO – I proventi delle aste sono stati usati in maniera massiva per abbattere i costi delle bollette durante la crisi del gas del 2022, quindi per misure emergenziali, mentre si sarebbero dovuti usare per modifiche strutturali. Può essere poi che altri soldi siano stati spesi per gli scopi indicati, ma non lo sappiamo. E questo, forse, è ancora più grave».

DELLE CIFRE EFFETTIVAMENTE UTILIZZATE in Italia per il clima, circa 1,4 miliardi, la quota maggiore (29%, 400 milioni) è stata spesa per lo sviluppo di energie rinnovabili; il 25,8% (350 milioni) è stata destinata a fondi multilaterali in Paesi terzi; il 16,9% (235 milioni) è stato investito in forme di trasporto pubblico a basse emissioni, in particolare nel Buono mobilità del 2020; solo il 14,6% (203 milioni) è stato usato per l’efficienza energetica, in prevalenza di immobili pubblici; il restante 7% (95 milioni) è stato destinato a fondi specifici per la transizione energetica dell’industria.

LE CIFRE DI CUI PARLIAMO NEI PROSSIMI anni diventeranno ancora più consistenti: una modifica alla direttiva ETS, non correttamente recepita dall’Italia, prescrive che dal 2023 il 100% degli introiti vada usato per proteggere il clima (non più il 50%). Inoltre, il prezzo delle quote di emissione, passato dai 15 € del 2018 ai 75€ di oggi, nel periodo 2025-30 è destinato a raddoppiare, con le previsioni sui proventi che si attestano complessivamente sui 33 miliardi €.

LA GESTIONE DOVRA’ ESSERE ANCORA più attenta e oculata, mentre fino ad oggi, secondo Di Mambro, abbiamo assistito ad «una mancanza di visione da parte dei vari governi che si sono succeduti. Eppure, un meccanismo come l’ETS, che è una forma di carbon pricing, è, di per sé, tecnologicamente neutrale, perché i fondi possono essere spesi per qualunque intervento, e questo approccio è sostenuto da più parti. Se però non lo mettiamo al servizio della transizione, perde di significato. Noi crediamo che per la transizione energetica serva programmazione, di almeno 4/5 anni: non è possibile che nel Pniec (Piano nazionale integrato energia e clima) non si siano quantificati i proventi delle aste, come base della strategia finanziaria per la sua attuazione. Senza una politica centrale sul clima, mai preso in carico dalla Presidenza del consiglio, viene a mancare un indirizzo preciso e finisce che la macchina dello stato stenta a funzionare su questioni così trasversali».

LA GESTIONE DEI FONDI SARA’ ANCORA più complessa con l’introduzione dell’EU ETS2 nel 2027, una forma di carbon pricing che verrà applicata anche a trasporti, edifici, imprese medio-piccole, con un ulteriore afflusso di circa 40 miliardi di euro, di cui 7 miliardi destinati al Fondo Sociale per il Clima per proteggere le fasce più vulnerabili.

«SE QUESTO SISTEMA ARRIVA, ma non lo vediamo arrivare, se non lo si integra in maniera organica in una revisione della tassazione dell’energia, c’è il grosso rischio che faccia aumentare i prezzi, senza i vantaggi che potrebbero venire se invece il sistema fosse sfruttato in modo virtuoso, considerando il gettito derivante», sottolinea Di Mambro.

L’ANALISI DI «ECCO» SI CONCLUDE con alcune raccomandazioni per i decisori politici per strutturare una strategia finanziaria più coerente sulle politiche climatiche: intanto è necessario migliorare la pianificazione della spesa, allineando le strategie di sviluppo socioeconomico con gli obiettivi clima nella cornice del Pniec. Inoltre, occorre garantire una maggiore trasparenza e tracciabilità, con l’introduzione di un sistema pubblico di monitoraggio e rendicontazione della spesa, ma non solo: da Bruxelles si chiede anche «visibilità» per l’impiego dei proventi ETS, come avviene per l’utilizzo dei fondi di coesione, quando sulle opere realizzate compare la targa Realizzati con i fondi europei…

SERVE POI LAVORARE SULLO SNELLIMENTO delle procedure amministrative per accelerare l’attribuzione e l’utilizzo dei proventi («su questo anche l’UE ha la sua parte di responsabilità nella mancanza di supporto alla pubblica amministrazione», commenta Di Mambro) e integrare l’ETS 2 nelle strutture fiscali e parafiscali delle tariffe, per avere coerenza dei prezzi finali dei diversi vettori energetici (elettricità, gas, diesel e benzina) che siano sostenibili per imprese e famiglie.



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