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Massimiliano Salini, europarlamentare di Forza Italia. Sia il suo partito che FdI sono contrari al nuovo regolamento Edip, il programma per rafforzare la base industriale e tecnologica della Difesa Ue, che è stato approvato dalle commissioni Industria e Difesa dell’Europarlamento. Perché non lo avete votato?
Come Forza Italia abbiamo espresso anzitutto alcuni emendamenti all’articolo 11 del regolamento durante la velocissima fase della discussione nelle Commissioni, che però non sono stati recepiti. Le nostre richieste riguardavano intanto la parte relativa all’approvvigionamento militare europeo che si avvale di strumentazioni extra Ue. Il punto discorde era la percentuale: noi, come il Consiglio Ue, chiedevamo il 65%, i relatori l’80%. Alla fine è stato trovato l’accordo per il 70%.
Se è un’intesa accettabile, perché il voto contrario?
Premesso che in Commissione Fi non è stata presente per impedimenti e ha delegato i colleghi polacchi a votare no, il problema è che non si capisce su quale base sia calcolato quel 70%, se sul prodotto finito o meno. C’è un’incertezza nella formulazione che non lo rende del tutto chiaro.
In sostanza, la riserva dei finanziamenti solo laddove il 70% dei componenti del valore complessivo del prodotto siano originati nell’Ue creerebbe un problema all’industria italiana?
In realtà c’è un altro punto complicato su cui non è stato trovato un accordo: quel residuo 30% di strumentazioni acquistabili fuori dall’Ue. Nella formulazione finale ci sono delle restrizioni specifiche che limitano drasticamente la possibilità di questi acquisti. Criteri e vincoli sono molto rigidi: da parte del fornitore non deve esserci assolutamente nessuna possibilità di partecipazione nell’uso delle strumentazioni, ad esempio ipotesi di gestione e verifica del software da parte delle aziende fornitrici. È una dicitura che taglia fuori la gran parte delle forniture effettive che oggi arrivano in Italia da Paesi extra Ue.
Esiste un tema di competizione con la Francia? Le loro industrie, da Airbus in giù, non temono queste “restrizioni” ai componenti?
La competizione con Parigi c’è. La Francia punta legittimamente a una struttura di approvvigionamento militare che sia fortemente se non esclusivamente europea, ma più che altro francese. Mentre le industrie della difesa italiane, svedesi e polacche hanno mostrato forti perplessità sul vincolo del 30%.
Ci sono sinergie fra questi tre Paesi sul tema?
Le loro industrie della difesa hanno molte caratteristiche in comune con la nostra. Varsavia ha fortissime relazioni con Washington, ma anche le nostre e quelle di Stoccolma con gli Usa sono intense. Non a caso avevamo formulato anche un emendamento che prevedeva un percorso per rendere più strutturale la collaborazione con aziende extra Ue all’interno di questo quadro.
Secondo il “Fatto Quotidiano” dietro il no italiano ci sarebbero proprio le pressioni dell’industria degli armamenti. La questione dell’interdipendenza nel settore tra Italia e Usa è concreta?
No, la questione è molto più semplice. L’industria italiana della difesa è forte e autonoma. Le interconnessioni con gli Usa sono limitate e non mettono a repentaglio la nostra autonomia strategica. Quindi, hanno tutto il diritto di essere tutelate, cosa che non va a detrimento della costruzione del progetto di difesa Ue. La nostra rivendicazione non è fondata su un argomento “mercantile” bensì punta a mantenere in vita un assetto competitivo sul piano tecnologico e autonomo sul piano strategico.
Secondo lei, è realistica la strategia del “buy European” a breve termine? O è una fuga in avanti di Parigi?
È una strategia realistica e profondamente concreta purché non sia costruita con irrigidimenti eccessivi come è avvenuto durante questa discussione. Irrigidimenti che, peraltro, cadranno nel successivo dialogo tra il Consiglio e la Commissione. Ho la certezza che in quella fase la nostra posizione prevarrà: ci saranno rappresentanti di tutti e 27 i Paesi e credo che il procedimento si concluderà entro giugno, durante il semestre di presidenza polacca, con degli aggiustamenti nel senso di maggiore flessibilità. Il fine del regolamento Edip è corroborare la postura europea nella strategia della difesa e mantenere in vita relazioni vitali.
Al riguardo, Giorgia Meloni è la leader Ue in rapporti migliori con Donald Trump. E il presidente Usa certamente non vedrebbe con favore un calo di acquisti nella difesa dalle industrie statunitensi. Quanto peso hanno i rapporti politici e diplomatici tra i due Paesi in questa vicenda?
Non mi sembra, dal lato italiano, che una simile lettura sia fondata. Il tipo di relazioni tra Roma e Washington non la giustifica: è una collaborazione che non va a toccare l’autonomia strategica in nessun modo.
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